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She’s gotta have it: la nuova Nola Darling di Spike Lee
Dark Light

She’s gotta have it: la nuova Nola Darling di Spike Lee

Articolo di Beatrice Carvisiglia

Libera, indipendente, creativa. È la Nola Darling di Spike Lee, un progetto televisivo che riprende il primo film del regista, girato nel 1986. 

She’s gotta have it è online dal 23 Novembre su Netflix. La serie si compone di dieci episodi: protagonista assoluta è Nola (Wanda Dewise), una pittrice irriverente che davanti alla telecamera racconta la sua storia di emancipazione professionale e sessuale.

«Mi chiamano sgualdrina, ma è una parola che detesto, non la condivido affatto. Per meglio dire, non condivido alcuna etichetta.>>

La protagonista si presenta così nel primo episodio, seduta sul suo letto dell’amore, dove accoglie diversi amanti.

Nola vive a Fort Greene, Brooklyn. Un quartiere immortalato nel suo eclettismo tra fotografie d’epoca, artisti di strada, cultura hip hop.

Nola possiede una bellezza mozzafiato e una sensualità straripante, tanto quanto una mente brillante e un’opinione acuta sul mondo che la circonda. Sogna di vivere della sua arte, ma la quotidianità la porta a scontrarsi con mille difficoltà, tra bollette da pagare e quadri invenduti. La giovane è orgogliosa della sua vita sessuale: vive il poliamore senza remore, scegliendosi tre amanti uomini e una donna.

Nola lotta per conquistarsi un posto nel mondo, arrabbiandosi per le ingiustizie di stampo sessista, “trumpiano”, per le iniquità nei confronti degli afroamericani.

Il pregio innegabile di She’s gotta have it è la sua sconcertante attualità. Tra un hashtag e l’altro, sa ripercorrere gli ultimi anni di storia politica e sociale americana. Affronta questioni urgenti come la gentrification e le molestie sessuali.

In tal senso, Nola sperimenta in prima persona il fenomeno del cat-calling ed è stanca di sentirsi apostrofare per strada in mille modi diversi ed ugualmente fastidiosi. Gli uomini la giudicano, la spogliano con lo sguardo, la scrutano con cupidigia. È proprio questa oggettificazione che Nola rifugge. Lei non si sente proprietà di nessuno e non si concede totalmente ai suoi amanti, che pure vorrebbero averla in esclusiva.

Per tale motivo decide di lanciare la campagna My name isn’t, affiggendo dei manifesti col suo volto per le strade di Brooklyn. Nola rivendica la libertà delle donne di indossare quello che vogliono, di uscire a qualsiasi ora della sera desiderino, di flirtare senza la paura di una possibile violenza.

Il vestitino nero che Nola acquista diventa conseguentemente il simbolo della colpevolizzazione femminile. Con addosso quel vestito, sexy e spregiudicato, Nola si sente responsabile degli sguardi indesiderati, di aver risvegliato un qualche “istinto predatore” maschile. La sua sensibilità di artista, però, riesce a scindere dai fatti e a trasformare gli episodi di molestie in creatività. Attraverso il vestito, Nola veicola l’esperienza di tutte le donne mortificate, messe in croce e ridotte a carne da macello per il compiacimento altrui.

Una seconda tematica importante affrontata dalla serie è quella del celeberrimo hashtag #BlackLivesMatter. In She’s gotta have it l’essere un afroamericano ha centralità massima: la nostra protagonista non lo scorda mai. Tutta la sua arte ruota intorno a questo concetto, attraverso l’esaltazione delle forme delle donne nere, la loro sensualità. Un messaggio che è anche rivendicazione politica. Non è un caso che la sua modalità espressiva siano i ritratti, un tentativo di catturare e fissare alla tela l’impronta di un’anima e il fiero reclamo della propria unicità.

Nola affronta di petto il marcio dell’America razzista, rivendicando la sua appartenenza a una comunità orgogliosa delle proprie radici. Emblematica è l’ottava puntata, che si apre proprio con una critica spietata e incontrovertibile al presidente Trump e al potere dei maschi bianchi e ricchi.

Un ulteriore spunto di riflessione in She’s gotta have it  è costituito dall’esperienza del poliamore.

C’è Green (Cleo Anthony), un modello-fotografo narcisista e pieno di sé. Jaimie (Lyriq Bent), il prototipo dell’uomo protettivo, che è sposato e con un passato ingombrante alle spalle. Infine c’è Mars (Anthony Ramos), un aspirante rapper dalle origini portoricane, buffo ed esilarante.

Gli uomini della sua vita sembrano steoreotipati e pieni di difetti, eppure Nola li accetta e li incoraggia a darsi senza pretendere nulla da lei. Nola sa cogliere la positività dei suoi uomini, le gioie del sesso e i momenti condivisi con naturalezza. Rimbalza con flessibilità nelle diverse situazioni, dalla cena romantica alla mostra d’arte, fino alla conoscenza della bimba di Opal (Ilfenesh Adera), la sua unica amante donna.

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Netflix produce una piccola chicca per la TV che farà riflettere a lungo sul ruolo della donna, sulla sua libertà sessuale, sulla possibilità di relazioni con persone di sessi differenti.

She’s gotta have it è il racconto di una ventisettenne impegnata tra “uomini, ambizioni, emozioni”. Un’artista, un’afroamericana e, più di tutto, una donna fedele a sé stessa.

Fresca, pop, ironica: la serie affronta i temi dell’attualità tra una fotografia di Brooklyn e una canzone di Prince. Il risultato è un manifesto femminista e multirazziale, colorato proprio come un quadro di Nola Darling.

Oltretutto, quale occasione migliore per riguardare, insieme a questa serie, anche il primo lungometraggio di Spike Lee, Lola Darling?

 

 

 

 

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