Sembrano passati mesi da quando si è iniziato a parlare di Coronavirus. Eppure, si tratta di settimane: un paio, se pensiamo solo all’Italia. L’escalation mediatica è stata molto rapida e ha rispettato i canoni ai quali ci ha abituato qualsiasi notizia inizialmente stravagante.
Diffusione della notizia, fase memica, ossessione.
Per alcuni è poi scattata la fase psicosi, in altri è iniziata la razionalizzazione di quello che stiamo vivendo. Il sunto, cercando asetticamente e in modo molto semplice di riassumere la situazione, è che c’è questo virus che circola da più o meno prima di quest’anno, non si sa se importato dall’estero o incubato in Italia, che sta prendendo rapidamente piede in diverse regioni italiane e fuori dai nostri confini, infettando meno giovani e giovani con un rischio di mortalità allo stato attuale piuttosto basso.
È molto difficile divincolarsi tra la mole di informazioni che ci fagocita giornalmente, addirittura in alcuni casi ora per ora, nella giungla dei media. Quasi impossibile sottrarsi a questo groviglio di parole, ritrovandosi tra pareri medici discordanti, la corsa allo scrivere e a condividere la notizia più catastrofica e l’allontamento forzato e voluto di qualsiasi aggiornamento positivo e di contenimento dell’emergenza.
Trovarsi nel bel mezzo di una rapida diffusione di un virus, nuovo, sconosciuto alla medicina, comporta la necessità di parlarne, scoprirne le cure e arginarlo nel suo diffondersi. E come arginarlo? In primis, rispettando le più basiche regole d’igiene che, a prescindere dal nuovo Coronavirus, si dovrebbero ossequiare sempre. In secondo luogo, sono state adottate dalle Istituzioni misure di contenimento e gestione per fronteggiare l’emergenza, con l’obiettivo di limitare la diffusione del virus, che hanno impattato su ogni aspetto della vita privata e della sfera economica: dalla chiusura delle scuole all’adozione – ove possibile – dello smartworking, passando per la sospensione delle attività culturali.
Se da un lato i supermercati hanno vissuto giorni di intensi incassi, grazie ai carrelli strabordanti che sono stati riempiti da una parte della popolazione pronta a chiudersi in casa aspettando l’Apocalisse, dall’altro la Borsa di Milano è crollata e i promotori e i produttori di cultura e turismo stanno vivendo giorni da incubo, in particolare in Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, le regioni in cui sono state interrotte le attività di intrattenimento a misura cautelativa. Tutta Italia è però stata interessata dal provvedimento: dai tour di musicisti stranieri (e non) annullati, alle esibizioni rinviate, fino alle cancellazioni delle prenotazioni negli hotel di turisti italiani e stranieri, il nuovo Coronavirus sta dando una stangata al settore cultura incidendo sulla produttività e sugli introiti in ogni parte d’Italia.
La sospensione delle attività di musei, spazi ricreativi ed espositivi, cinema, biblioteche e teatri, ha bloccato la possibilità di ricavare entrate, con la conseguenza di un danno economico che si ripercuote nella copertura delle spese obbligate che il fare e proporre cultura comporta; ha limitato la possibilità di investimenti futuri e mandato in vacanza forzata – e non per tutti pagata – gli operatori del settore. E non parliamo solo di artisti, ma di tutti coloro che sono coinvolti nell’organizzazione, pianificazione e gestione di eventi e proposte culturali: dietro al titolo di un evento su Facebook, al nome scritto su un cartellone pubblicitario di chi si esibirà su un palco, all’organizzazione di un concerto c’è una lunga lista di persone che vi contribuisce, tecnici, addetti alla sicurezza, agli ingressi, al bancone… che rendono possibile quell’evento. Senza dimenticare convention e fiere, un’altra tipologia di eventi che sta vivendo una paralisi.
Immobilizzare il settore cultura, seppur chiaramente con l’obiettivo di tutelare e limitare l’esigenza sanitaria, implica procurarle un danno economico ingente in termini di risorse, occupazione e progettualità. Ma, al contempo, significa incidere sulla sua stessa missione, allontanando a forza i suoi fruitori: fare cultura vuol dire infatti intrattenere, educare, coinvolgere, emancipare, sensibilizzare. La cultura è il motore che ci rende curiosi, che fa essere le nostre città vive, che ci permette di svagarci e avere una vita migliore. La cultura favorisce l’aggregazione, la socializzazione, la condivisione e aiuta ad affrontare sogni e paure, insieme.
In questi giorni stiamo vivendo una limitazione del settore che sta incidendo sulla partecipazione, pari a zero ove non viene resa possibile causa eventi sospesi, o spaventosamente calata in quelle zone definite né gialle né rosse in cui le attività proseguono ma fisiologicamente si sta iniziando ad avere paura che il virus si insidi anche lì. E, ove le attività sono sospese, tutto questo come impatterà quando riprenderanno? Che ripercussioni umane, oltre a quelle economiche, verranno prossimamente vissute dal settore?
Come ogni novità, come ogni cosa che non si conosce e non si hanno gli strumenti per gestirla, il nuovo Coronavirus fa una paura blu. Ma di un blu molto intenso, perché – seppur con un tasso parrebbe molto basso e in condizioni particolari – può portare alla morte. Ed è il modo in cui ci è stato raccontato che, forse, fa ancora più paura. Abbiamo assistito alla presa d’assalto ai supermercati, a scene d’isteria collettiva che esulano dalla prevenzione e dalla responsabile consapevolezza che questo virus sia un problema e che dobbiamo aiutarci l’un l’altro a limitarne la diffusione.
E come possiamo reagire alla paura senza la musica, il teatro, i libri, i film, tutto ciò che rientra sotto il cappello di cultura? Abbiamo bisogno di riprendere a tenere attiva la nostra mente, a uscire di casa, a stare insieme, a non avere paura di frequentarci e relazionarci.
E certamente, anche senza l’emergenza Coronavirus, abbiamo bisogno di non tossirci addosso e di lavarci sempre le mani.
Abbiamo bisogno di non perdere la fiducia verso il prossimo, di non temere di stare in luoghi affollati, di uscire di casa leggeri nel recarci a un concerto o al cinema. Le nostre città hanno bisogno di tornare a pullulare di turisti interessati a visitare le bellezze che offriamo.
Proprio sulla situazione che l’intrattenimento sta vivendo, nell’attesa che possano essere presto predisposte da parte delle istituzioni interventi a salvaguardia degli operatori del settore per mettere un cerotto alle perdite e per incentivare la produttività, per quando questa emergenza sarà finita, abbiamo intercettato alcuni operatori del settore:
Antonio Altini: direttore artistico del Mikasa Club di Bologna e owner di Altini Cose; Teo Motta: tecnico del suono, musicista, owner di Progetto Cervo Booking e direttore artistico del Bloom di Mezzago (MB); Alfredo “Kappa” Cappello: da più di vent’anni nel mondo della musica e attualmente responsabile della programmazione live dei Magazzini Generali di Milano; Franz Barcella: gestore di Edoné Bergamo, cofondatore e gestore di Otis Tour, organizzatore del Punk Rock Raduno. A loro abbiamo chiesto come nelle zone di loro competenza si sta vivendo questo momento, speriamo ancora per poco, di difficoltà.
Lavorare con/fare cultura e intrattenimento, offrire contenuti, educare e agevolare l’aggregazione: qual è il ruolo che in uno stato d’emergenza come quello che stiamo vivendo, un circolo, un locale, un operatore del settore, una realtà del settore deve avere senza a sua volta piombare nella psicosi? Come si può fare rete e combattere il rischio della crescente diffidenza verso il prossimo e del chiudersi in casa?
Antonio Altini: Credo che quello che debba fare un centro di cultura sia primariamente rimanere lucido sulla questione e valutare esattamente i provvedimenti che sono stati attuati. Nello specifico, sicuramente, perlomeno a Bologna, sono stati chiusi centri di aggregazione quali scuole, università, cinema, sale concerti ma non altre: c’è stata una forma di discriminazione e incomprensione. Io, come molti altri, siamo rimasti interdetti dalla situazione, ma c’è anche un lato un po’ romantico della vicenda: in questa emergenza, in questo non poter lavorare e costretti a una sorta di ferie forzate, con gli operatori del settore ci siamo trovati uniti. La perdita economica c’è stata ma anche la solidarietà reciproca, che abbiamo ricevuto anche dal pubblico bolognese.
Teo Motta: Cominciamo dicendo che questo è un periodo davvero duro per chi fa il nostro lavoro. Già non è semplice tenere in piedi un locale come il nostro e offrire ogni volta qualcosa di nuovo, qualcosa che “acchiappi”, in quanto viviamo in tempi dove tutto cambia in maniera velocissima, dall’attenzione della gente a quello che i ragazzini ascoltano. Nemmeno si fa in tempo a intercettare il giusto canale che già ci si deve spostare verso altri territori. Mesi e mesi di duro lavoro per costruire una programmazione artistica sensata, per cercare di creare del contenuto valido spazzati via in un secondo dall’arrivo di un virus e dalla psicosi che è esplosa nella gente. In questi dieci giorni alla radio, in tv e sui giornali ne ho sentite di tutti i colori e sinceramente devo dire che mi sono anche stancato di questa situazione. Una situazione che è importante non prendere sotto gamba e non sottostimare, certo, per carità, ma qui c’è da fare un grosso lavoro per ritornare in carreggiata, ci sarà da fare uno sforzo incredibile nei prossimi mesi e dato che il nostro ruolo è quello di fare cultura ogni realtà come la nostra dovrebbe comportarsi di conseguenza, combattendo contro la paura, facendo rete. Il nostro ruolo è quello di tenere botta, di incassare il colpo ricevuto da due settimane di stop (un gran bel colpo) e di ritornare più forti di prima. Ho letto di alcuni locali che hanno sfruttato queste due settimane di stop per rivedere, sistemare, rivoluzionare gli spazi, abbellire il bar, implementare l’impianto luci della sala concerto o inventarsi nuovi modi per arrivare alla gente, nuovi canali comunicativi.
Alfredo “Kappa” Cappello: Quando il problema è proprio l’aggregazione, diventa una sfida veramente ardua. Fermo restando che la salute di tutti è la cosa più importante, è ovvio che la comunicazione e la chiarezza diventano fondamentali per evitare che le persone, nel dubbio, sviluppino ansie, psicosi e paure infondate. Il paradosso è che proprio la cultura è quella più in difficoltà nella comunicazione, e qui, nel caso specifico del Covid-19, diventano importantissimi gli scienziati, che devono dare informazioni dettagliate, ma diventano altrettanto fondamentali in prima battuta anche i media, che devono rendere comprensibili le informazioni degli scienziati, e gli operatori finali, come i locali, le discoteche, i ristoranti che devono permettere alle persone di capire perché certe ordinanze vanno rispettate. L’unica arma è la chiarezza, capire qual è il problema, come comportarsi e prendere le necessarie precauzioni.
Franz Barcella: Quella che stiamo vivendo è una situazione paradossale. Noi ovviamente siamo abituati a invogliare, il nostro lavoro è quello di promuovere la socialità e quindi in questi giorni, quando i media e le regole imposte ci hanno detto che non si può socializzare, siamo rimasti spiazzati. La nostra risposta è stata quella di non fermarci, nell’impossibilità di attuare la forma concerto che è la forma di aggregazione in cui siamo specializzati, abbiamo deciso insieme a Ink Club di provare a mandare un messaggio positivo e mettere in piedi una tre giorni di programmazione radio, proponendo contenuti che normalmente offriamo nelle nostre serate. La risposta è stata grandiosa, abbiamo fatto più di trenta ore live, seguite e partecipate, che ci hanno permesso di fare rete con organizzatori, entità, addetti ai lavori, locali, tutti coloro che volevano farsi sentire e sono stati toccati da questa situazione, riuscendo anche a divertire. Questo tipo di iniziative sono secondo me un buon esempio: la nostra professione comporta rischi, ma anche la necessità di essere fluidi. Nessuno ci ha mai garantito e ci garantisce che potremo per sempre organizzare concerti: dobbiamo essere noi bravi ad adattarci e a trovare il modo per diffondere la musica, la passione, l’entusiasmo e la speranza. Questo weekend con il live streaming siamo riusciti a trovare un’alternativa per reagire, ma ci sono anche altre modalità, nella speranza chiaramente di poter riprendere presto a usare la forma concerto. Stiamo vivendo una bella sfida, non dobbiamo pensare di essere imbavagliati, ma di essere spronati a trovare nuove idee e modi d’agire, poi certo, da un lato siamo tristi e presi dallo sconforto di non poter operare e di subire comunque dei danni, ma dall’altro c’è emozione dobbiamo sentirci spronati a rimanere attivi.
La paura è legittima e l’attenzione è importante in un momento come questo, quanto precauzione, prevenzione e il non sottostimare i pericoli: cosa possiamo fare nel nostro piccolo quali fruitori di spettacoli e proposte culturali?
Antonio Altini: La paura è legittima se paragonabile al pericolo e se questo virus è così tanto pericoloso, tutta la città deve essere messa in quarantena, non solo alcune attività devono essere bloccate. Non bisogna sottostimare alcun rischio, ma sensibilizzare, cercando di far capire che ovunque potenzialmente ci si può contagiare.
Teo Motta: Il nostro compito è quello di continuare a fare il nostro lavoro inventandoci però un modo diverso nel farlo. Se un’ordinanza regionale impone la chiusura di spettacoli live, teatro, cinema e mostre per evitare sovraffollamenti di persone, allora forse è il caso di inventarsi un nuovo modo per arrivare alla gente. Come? Per esempio come hanno fatto gli amici di Edoné e Ink Club, due locali di Bergamo che hanno deciso di unire le loro forze e per tutto lo scorso weekend hanno trasmesso in diretta streaming per ore e ore di interventi, riflessioni e musica invitando ospiti, addetti ai lavori del settore e appassionati arrivando così con messaggi forti e chiari come se fossimo stati sotto al palco di un loro concerto vero. È importante fare informazione e farlo attraverso i nostri canali, è importante far sentire la nostra voce e la voce delle migliaia di persone che non vedono l’ora di tornare a vivere in prima persona la cultura.
Alfredo “Kappa” Cappello: Fidarci delle Istituzioni e delle loro direttive, anche se creano problemi e difficoltà. E cercare di limitare i disagi e le difficoltà alla clientela, spiegando chiaramente perché si sono creati. Sembra anacronistico e ovvio, ma in queste settimane ho ricevuto telefonate di persone che non avevano chiaro cosa stesse succedendo.
Franz Barcella: Ti rispondo più da cittadino che da organizzatore di concerti. Spesso la tendenza è quella di non fidarsi delle Istituzioni, ma in questo caso nonostante siano stati fatti errori e ci sia di fondo un’incertezza generale, penso che il buon senso debba essere adottato sempre, al di là di questo periodo e momento storico. Come? Da viaggiatore penso alle condizioni igieniche dei bagni, anche nei locali o luoghi pubblici, un esempio di come possiamo lavorare per migliorare la qualità di spazi ed eventi cercando di mantenere uno standard il più sicuro e pulito possibile, un passaggio che all’estero spesso hanno già fatto.
L’allarme contagio Coronavirus ha avuto ripercussioni sulla tua realtà? Se sì, in che modo e quali? Temi che si possano protrarre anche in futuro nonostante l’allarme si spera possa nel breve rientrare?
Antonio Altini: Accidenti se ha avuto delle ripercussioni! Ha fatto sballare la programmazione, un danno all’immagine, oltre che morale, visto il bollino di pericolosità appiccicato alle sale concerti. Credo però che il pubblico di Bologna risponderà bene, non sarà spaventato, molti mi hanno scritto, e quando questa fase si concluderà sarà motivato a tornare ad assistere ai concerti. Qui si è sentita davvero la mancanza dei live in questi giorni. Io per esempio, per la prima volta in sette anni, non sono andato a un concerto! Mai successo, e mi fa davvero strano.
Teo Motta: L’allarme Coronavirus ha avuto parecchie ripercussioni su quello che facciamo. Tante sono le iniziative che sono saltate, tanti i concerti e gli appuntamenti cancellati, gli ospiti che non sono potuti passare a trovarci e al momento nessuno di questi può neanche essere rimandato a data da destinarsi. Se vuoi fare una programmazione fatta come si deve, c’è da lavorare d’anticipo. Dieci giorni fa ero arrivato a chiudere la stagione dei concerti programmando tutto fino a fine maggio ed ero anche contento del lavoro svolto, un po’ perché nel mio piccolo sono soddisfatto di ciò che è stato fatto, un po’ perché l’avere chiuso una programmazione ti dà modo di poterti concentrare anche su altro, sulla promozione, su un metodo comunicativo nuovo, su altri canali sui quali appoggiarti per arrivare alla gente ecc. Poi è arrivata questa ordinanza che ci ha imposto prima la chiusura fino alle 18 anche del bar e questa cosa che non si può servire al banco ma solo seduti ai tavoli. Ora lo stop è stato prolungato fino alla data dell’8 marzo, dopodiché – ammesso che si riesca a tornare alla normalità – ognuno di noi dovrà darsi parecchio da fare per ritornare sulla buona strada, sperando che la gente riesca a scacciare via questa psicosi, questa paura di uscire di casa, e che torni da noi affamata di musica, cinema e cultura.
Alfredo “Kappa” Cappello: Di sicuro. La filiera del mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento non è composta solo da artisti, organizzatori e locali, ma anche da tecnici, baristi, personale di sicurezza, camerieri, PR, uffici stampa, tutte categorie che hanno risentito di questa situazione. Basti solo pensare a quei lavoratori che hanno contratti a chiamata e che in queste due settimane non hanno lavorato. Degli strascichi ci saranno di sicuro, ma bisogna rimboccarsi le maniche e guardare avanti: sono sicuro che supereremo anche queste difficoltà.
Franz Barcella: Non voglio soffermarmi su perdite e contraccolpi, non è l’atteggiamento giusto secondo me. Non possiamo dare mai nulla per scontato, ci possono essere problematiche e cancellazioni, situazioni di emergenza e dobbiamo essere bravi a trovare delle soluzioni. Questa situazione, come ti ho detto, la vivo come una sfida. Sono straconvinto che la ripercussione momentanea ci darà la possibilità per mettere in cantiere nuove idee, lavorare più duro per recuperare le perdite, e le persone che di solito frequentano i nostri eventi sono certo non si fermeranno in futuro: se hai passione, non c’è paura che tenga, è un bisogno innato, e chiudersi non è mai una soluzione. Ciò che stiamo vivendo è la controprova che non esistono differenze di Nazioni ed etnia. Tutti siamo uguali davanti a queste situazioni, siamo tutti umani sullo stesso pianeta: o ci si chiude e si fanno più discriminazioni o si cerca di metterla sul piano dell’aggregazione, della socialità e della parità, come proviamo a fare.
Quali sono le misure, a tuo parere, sarebbe necessario le istituzioni adottassero per contenere le perdite e il tracollo del settore cultura/intrattenimento?
Antonio Altini: Dire le cose come stanno, dati alla mano sulla pericolosità del virus, sensibilizzare, non creare disparità in sede di emanazione dei provvedimenti e trovare un compromesso per sistemare una situazione che per chi con la musica ci lavora è davvero tosta.
Teo Motta: Sicuramente per evitare il diffondersi di un virus, la prima cosa da fare è evitare assembramenti di persone – su questo non ci piove – e di conseguenza c’è da prendere provvedimenti affinché questo non accada. Il problema è che per locali e circoli come il nostro i concerti sono il pane quotidiano e il mezzo attraverso il quale diffondiamo cultura e di conseguenza campiamo, quindi il rischio è davvero quello di arrivare a mettere in ginocchio realtà come le nostre che tra l’altro, purtroppo, non sono assolutamente tutelate da nessuno. Penso che se si arriva a chiudere i concerti, gli spettacoli, i cinema e le mostre, allora forse bisognerebbe chiudere tutto, chiudere anche i bar, chiudere i grossi centri commerciali. Chiudiamo la metropolitana, fermiamo i treni, fermiamo tutto. A me sembra assurda questa cosa che i bar e i ristoranti possano stare aperti solo con servizio al tavolo. Ieri sera sono entrato in un locale a Milano per un aperitivo e dei 35/40 tavoli che riempivano la sala forse ce n’era uno solo vuoto: avrò contato 150 persone che affollavano il posto e la cosa mi ha fatto sorridere perché non è che se metti i tavoli a distanza di un metro dall’altro allora hai risolto il problema. Parlavo anche con amici tecnici che si ritrovano chiusi in casa senza lavoro per due settimane, senza stipendio, persone che magari hanno aperto la Partita IVA da pochi mesi, poi succede una cosa come questa e ti taglia le gambe perché i lavori sono saltati e sappiamo tutti come va a finire. Ok, quindi, ad adottare misure di sicurezza per evitare di peggiorare le cose, ma se tagli sull’intrattenimento e sulla cultura allora chiudi veramente tutto.
Alfredo “Kappa” Cappello: Le istituzioni devono intervenire con tutti i mezzi possibili, da sgravi fiscali, a finanziamenti. Devono far sì che chi ha mutui possa avere un attimo di respiro, devono aiutare le categorie di lavoratori più fragili e meno tutelate, da chi è “a chiamata” alle Partite IVA, che in questo ambiente lavorativo sono tantissime. Ma le misure delle istituzioni non devono limitarsi a queste settimane: sarebbe bello, ad esempio, che i Comuni mettessero a disposizioni i tanti spazi pubblicitari per promuovere, gratuitamente, tutte le serate e gli eventi che i locali avranno in programma dopo l’emergenza. Una cosa è certa: per far ripartire il settore dell’intrattenimento dopo questa grave interruzione del servizio al pubblico, servirà un aiuto concreto dalle Istituzioni e noi come sempre faremo la nostra parte.
Franz Barcella: In questo momento di emergenza è ovvio vengano a galla una serie di insoddisfazioni e paure principalmente economiche, ma ricordiamoci che non solo il nostro settore è in difficoltà. Bisogna prima di tutto cercare sempre di valutare e partire dalle proprie forze, dopodiché riflettere sul buco legislativo che è necessario colmare, a prescindere dal Coronavirus, tutelando gli operatori del settore culturale e il settore stesso, per esempio in tema dei contributi e agevolazioni finanziarie. I danni ci sono in questi giorni e bisognerebbe trovare un modo per appianare la situazione contingente, ma al contempo non dobbiamo per nessun motivo perdere di vista una problematica generale, che persiste da lungo tempo e continuerà a esserci quando sarà passata l’emergenza di questi giorni.