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Elli Papakonstantinou: l’intervista alla regista greca in occasione della sua partecipazione al Romaeuropa Festival 2023
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Elli Papakonstantinou: l’intervista alla regista greca in occasione della sua partecipazione al Romaeuropa Festival 2023

In occasione del Romaeuropa Festival, lo scorso weekend la regista greca Elli Papakonstantinou, acclamata internazionalmente, ha rivisitato Le Baccanti di Euripide con The Bacchae in una versione di teatro musicale in chiave queer, combinando teatro, danza, nuovi media, musica originale ed effetti visivi dal vivo.

Per questa occasione la sua rielaborazione del mito di Dioniso tratta la questione del genere come sinonimo di libertà, proseguendo l’interesse dell’artista a trasformare i grandi miti classici in esperienze teatrali innovative che raccontino la contemporaneità e i grandi temi politici e sociali del nostro presente.

L’abbiamo intercettata, per farle qualche domanda sulle sue opere e sul mondo del teatro.

Elli, sei una regista teatrale di fama internazionale: oltre alla regia, cosa fai professionalmente? Personalmente, cosa succederebbe se potessi descriverti utilizzando tre film e tre libri di cui non ti stanchi mai?

Oltre a dirigere scrivo opere teatrali e libretti, produco e fino a poco tempo fa ho diretto uno spazio culturale ad Atene. Mi piace viaggiare e scalare alte vette come l’Himalaya e il Kilimanjaro. Tre film: Biutiful di  Alejandro Inarritu, Triangle of sadness di Ruben Oestlund and Dogtooth di George Lanthimos. Tre libri: Bieguni di Olga Tokarczuk, L’Odissea di Omero e Libro Rosso di Carl Jung.

Quando ti sei innamorata del teatro? Qual è stato il percorso formativo e professionale che ti ha portato a farne oggi il tuo lavoro?

Da bambina e adolescente suonavo il flauto e il violino e amavo dipingere e leggere libri. Ero una ribelle e vivevo in uno squat anarchico. Quando sono entrata alla School of Arts mi sono resa conto che esiste uno spazio che unisce tutte le forme di arte, scienza e filosofia ma anche attivismo politico : questo è il teatro. All’inizio non avrei mai pensato di vivere di teatro, ho provato altri lavori. Come regista donna nel Sud Europa è stata una lotta costante per finanziare il mio lavoro – sono davvero grata che la mia arte sia riconosciuta all’estero.

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La rilettura dei miti, e più in generale della cultura classica, sono un punto fermo dei tuoi lavori. Come nasce il tuo lavoro, come scegli i riferimenti su cui lavorare, le interconnessioni e i rapporti professionali con altre forme d’arte?

Ci sono miti e classici che mi affascinano. Mi considero una hacker che va al nocciolo della narrazione, la stravolge, ribalta gli stereotipi e la rilegge. In un certo senso questo è ciò che facevano i Greci quando scrivevano le proprie versioni dei miti. E questo è quello che facciamo anche noi nella nostra vita. Quindi parto da un’idea iniziale e poi incontro moltə artistə, ne discuto e lə seguo nel loro lavoro. Mi piace lavorare con personalità forti. Anche quando non siamo d’accordo durante le prove. Lo trovo stimolante. Per le Baccanti mi ci è voluto più di un anno per finalizzare il cast. Sono persone che provengono tutte da background diversi, persino da Paesi diversi. Iniziamo le prove con una mente giocosa e con libertà. Ma c’è anche molto lavoro perché ə interpreti possano esplorare nuove aree e acquisire nuovi strumenti espressivi. È molto impegnativo dal punto di vista fisico ed emotivo per loro, soprattutto nel caso delle Baccanti, dove abbiamo fatto solo 6 settimane di prove. Lavoriamo con piccoli moduli, idee, frammenti e improvvisazioni che poi collego alla linea drammaturgica. A volte la strada è vaga e perplessa. Immagino che la mia estetica fratturata e mista rifletta il modo in cui vedo il mondo. Non mi piace l’arte che manifesta le proprie idee. Adoro l’arte esperienziale. Le Baccanti rappresentano una rottura oltre il controllo conscio e quindi è un invito al pubblico a lasciare andare le idee della mente.

 Il settore della cultura è sempre più in una situazione difficile: come va il teatro? In un modo dominato dai touch screen e dalla velocità di distogliere lo sguardo da ciò che non ci piace, quale missione ha il teatro? È una cosa del passato e dobbiamo reinventarci?

A volte penso che viviamo su una grande ruota che gira, il nostro mondo si muove verso nuove direzioni. Questo non è un processo pacifico, quando si tratta di fascismo o di cancel culture. Ma sta accadendo un grande cambiamento. Vedo il teatro come questo spazio pubblico in cui collettivamente – e a volte anche inconsciamente – reinventiamo noi stessə. Il vero teatro può incendiarci, bruciarci e riconnetterci con i nostri veri io. Quando uno spettacolo ci scuote forse ci arrabbiamo, acquisiamo una prospettiva diversa o entriamo in contatto con forze ed emozioni che non riusciamo a spiegare. Stimola una catena di reazioni. Ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di un’esperienza condivisa pubblicamente. Il teatro fin dalla sua nascita è legato alla politica, dà al collettivo la possibilità di uscire dalle zone di comfort. Nei nostri tempi di isolamento e realtà virtuale lo trovo assolutamente affascinante. Anche una rarità da proteggere .

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