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L’importanza dell’ascolto: intervista a Fran e i pensieri molesti
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L’importanza dell’ascolto: intervista a Fran e i pensieri molesti

Francesca Mercurio, Lorenzo Giannetti, Jacopo Di Nardo e Roberto Testa sono Fran e i Pensieri Molesti, band originaria di Torino formatasi nel 2016, anno in cui hanno esordito col primo disco.

Un mese fa sono tornati sulle scene con un pezzo nuovo, Mania, un brano che oltre a segnare la svolta della band verso sonorità più elettriche e moderne rispetto alle precedenti atmosfere folk, parla senza troppi giri di parole dell’ansia, quella sensazione, quella sindrome, quel disagio che molte persone vivono, che le paralizza e che si ripercuote sulla quotidianità e sui rapporti umani come una potente limitazione, trasformandosi in un ostacolo che sembra insormontabile e del quale spesso ci si vergogna.

Passeranno l’estate in tour, su e giù per l’Italia, di spalla ad alcuni progetti molto noti e ospiti di diversi Pride: Gallipoli, Padova, Novara e Torino.

Tra una tappa e l’altra li abbiamo intercettati per parlare di musica, ma anche dell’importanza di restare umani e provare a essere empatici.

Cos’è l’ansia, la protagonista del vostro nuovo brano? Come si manifesta e come si può aiutare chi ne soffre a stare meglio?
Definire l’ansia è difficile. È una morsa stretta intorno alla gola, un peso sul petto, una mano che trema. Può essere passeggera, può presentarsi in alcuni momenti della vita o essere patologica e ricorrente. Si manifesta in diversi modi, dal tremore, alla perdita di appetito, alla paura di non riuscire a fare qualcosa di specifico. Può essere nascosta dietro a un pensiero ricorrente che diventa ossessivo o a pensieri distruttivi e autolesionisti. Il segreto per aiutare chi ne soffre è uno solo: l’ascolto. Senza forzature, senza dare nulla per scontato, senza giudizio.

Qual è la cosa peggiore da dire invece a chi è soggetto a disturbi d’ansia?
“Stai tranquillo”, “Ma perché ti agiti così?”, “Datti una calmata”, eccetera. Sono tutte frasi inutili, che non fanno altro che sottolineare lo stato di irrazionalità in cui si trova la persona. Banalizzare un’ansia, minimizzare il disagio a cui stiamo assistendo, non fa altro che far sentire l’interlocutore giudicato. Ogni ansioso patologico dopo un po’ inizia a conoscere se stesso e come disinnescare le sue paure e angosce. Quindi, ascoltalo, assecondalo. E ricorda: “Quello che a te sembra una sciocchezza, viene amplificato venti volte nella sua testa”.

Quali sono i prossimi step che vi aspettano dopo l’uscita di Mania?
Sicuramente il primo passo è stato quello del 25 giugno, data di uscita del nostro secondo singolo, Verderame, su tutte le piattaforme di streaming digitale. Nel frattempo, a fine maggio è partito l’(AD)ORO Tour, il nostro tour estivo che toccherà tantissimi palchi in giro per l’Italia come il Meeting del Mare (SA) insieme a Franco126, il Flowers Festival (TO) con The Bloody Beetrots e l’Alcart Fest (TP) con Dutch Nazari.

Il video di Libano, vostro singolo uscito un paio di anni fa, fu realizzato con il patrocinio di Amnesty International Italia: cosa significa nello specifico ricevere il patrocinio di una realtà come Amnesty?
Amnesty International è la più importante associazione che si occupa della tutela dei diritti umani e Libano è una canzone che ha proprio come tema centrale quello dell’umanità e delle ingiustizie. Intendiamo “umanità” nel senso più completo del termine: dalla popolazione che vive su questa Terra fino alla sensibilità che provi quando ti trovi a contatto con una realtà “diversa”. Amnesty ha apprezzato molto il nostro contributo anche perché vuole sensibilizzare chi ascolta e lasciare questo messaggio: la guerra e le ingiustizie che si vedono ogni giorno in televisione sembrano lontane da noi, ma sono in realtà più vicine di quanto possiamo credere.

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Fare canzoni nel 2019 è ancora un gesto politico?
L’altro giorno abbiamo letto la notizia di una giunta comunale che contestava Francesco Motta perché durante un suo live ha parlato di immigrazione e ha dedicato una canzone al padre che era comunista. Siamo convinti del fatto che un artista, oggi più che mai, debba essere libero di poter manifestare il proprio pensiero: se non lo fa con le parole dei propri testi, come dovrebbe farlo? Quindi sì, fare canzoni può essere un gesto politico se significa far sentire la propria voce, scendere in campo, farsi valere.

Qual è per ognuno di voi il disco migliore uscito negli ultimi 18 mesi? E il disco “coperta di Linus”?
Rob: Il disco migliore uscito nell’ultimo anno e mezzo è Musica per bambini di Rancore, grande rapper e paroliere, particolare perché suonato e arrangiato da musicisti molto validi. La mia “coperta di Linus” invece si chiama Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (The Beatles).
Fran: Per me il miglior disco uscito negli ultimi 18 mesi è Gogo Diva de La rappresentante di lista. Lo trovo un disco coraggioso e con sonorità molto interessanti. La mia musica “coperta di Linus” è senza dubbio qualunque brano della discografia di De André.
Lorenzo: Il miglior disco uscito in questi ultimi 18 mesi è sicuramente Fuori dall’Hype dei Pinguini Tattici Nucleari. Nonostante le sonorità molto pop trovo che siano comunque riusciti a mantenere il loro particolare stile che li ha sempre caratterizzati. Il mio disco “coperta di Linus” è sicuramente Lingua contro Lingua dei Radiodervish.
Jacopo: Vado matto per gli artisti che racchiudono le esecuzioni live in un album. Per questo motivo, rispondo senza alcuna esitazione individuando in Ostensione della Sindrome “Ultima Cena” di Willie Peyote il mio album preferito uscito nell’ultimo anno e mezzo. Ogni singola traccia di questo disco mi permette di essere stato presente a ogni live del rapper torinese. La mia “coperta di Linus” è senza alcun dubbio My Head is an Animal (Of Monsters and Men).

Giugno è il mese dei Pride, che per altro vi hanno visti protagonisti in alcune città: come spieghereste a un bambino che cos’è un Pride e perché è importante partecipare?
Partecipare al Pride è di fondamentale importanza, a prescindere da quale sia il proprio orientamento sessuale. In molti Paesi del mondo l’omosessualità è ancora un reato, in Italia siamo indietro anni luce dall’avere pari diritti per tutti e tutte. Non c’è apertura verso le famiglie arcobaleno, ci sono ancora moltissimi episodi di omofobia e transfobia. Partecipare al Pride è un urlare al mondo: “Ehi, hai visto quanti siamo? Siamo tutti qui per combattere contro la chiusura mentale, perché siamo belli così come siamo.” A un bambino spiegheremmo esattamente questo, che ci sono tante sfumature di colore nel mondo e che tutte hanno il diritto di esistere senza essere soffocate nel grigio.

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