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La resistenza eterna: sul male in politica e la disobbedienza civile
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La resistenza eterna: sul male in politica e la disobbedienza civile

Articolo di Rossella Ciciarelli

Qualche giorno fa, trovandomi alla Feltrinelli, mi sono messa a curiosare fra i libricini esposti sul bancone della cassa, nella speranza di trovare qualcosa di interessante.  Accanto ad un opuscolo sulle cose da sapere sull’immigrazione, erano sistemati la Costituzione italiana, Il Fascismo eterno di Umberto Eco e il saggio sulla Disobbedienza civile di Thoreau – un precedente importante per l’omonimo testo della Arendt – in quella che io ho voluto interpretare come risposta sottile e silenziosa nei confronti di quanto sta accadendo negli ultimi tempi.
Me ne sono tornata a casa con la volontà di scrivere qualcosa a riguardo e – dopo aver messo in ordine i pensieri in modo da renderli comprensibili anche ai fortunati che non vivono nella mia testa – l’ho fatto; quello che leggerete di qui in avanti è dunque il tentativo di rendere esplicito il dialogo che, semplicemente standosi accanto, questi libri mi è sembrato instaurassero fra loro.

Tra gli innumerevoli “Non sono razzista ma” ed i sempre illuminanti “aiutiamoli a casa loro”, passando per un immancabile “E allora il pd?”; dalle fake news cui abbocca il vicino di casa a quella condivisa e alimentata dal vicepresidente del Consiglio, sono decisamente tempi difficili per tutti i buonisti d’Italia, che si ritrovano quotidianamente a farsi il sangue amaro leggendo i giornali, aprendo i social, respirando nell’aria gli effetti culturali del governo che si è autodefinito del cambiamento.
La definizione, devo ammetterlo, credo sia azzeccata; il cambiamento, effettivamente, lo avverto.
Il punto credo sia chiedersi: verso che cosa, esattamente? Perché io lo percepisco quando mi ritrovo a sentire espressi con fierezza pensieri che forse un tempo si sarebbero bisbigliati e che ora sono forti perché nutriti dall’esempio che viene dall’alto, così come lo avverto nelle notizie di cronaca che testimoniano un clima pieno di intolleranza.
Se è questa l’evoluzione di cui parliamo, se è verso la sempre maggiore discriminazione delle minoranze che stiamo andando…beh, non vedo come questo cambiamento possa esser positivo.
Forse qualcuno ci riesce, e questo qualcuno potrebbe avanzare due possibili obiezioni rispetto a quanto scritto fino ad ora.
Uno: che è un’esagerazione leggere quanto stia accadendo come una trasformazione del nostro paese in un nuovo stato fascista; due: che anche le affermazioni più discriminatorie sono pur sempre opinioni che si devono poter esprimere in nome della democrazia che ci piace tanto. Ed è qui che quei libri fermi sul bancone iniziano ad alzare la voce.

1. Il fascismo in abiti civili

Per quanto riguarda la prima critica, chiameremo in aiuto (neanche fossimo Red con la sua pokeball) Il Fascismo eterno di Eco. Un saggio breve quanto illuminante, frutto di una rielaborazione della conferenza tenutasi nel 1995 in occasione del cinquantesimo anniversario della Liberazione.
Il problema è che siamo abituati a pensare al Fascismo come ad un momento ben preciso della nostra storia, fatto di palmi delle mani portati in alto e diritti umani calpestati in basso, di camicie nere e discorsi pronunciati da Palazzo Venezia: come ad un blocco monolitico rappresentante il Male e le barbarie.
Ma il Fascismo – e qui viene la parte difficile – non è un unico masso definito. È più simile ad un puzzle: ogni pezzo rappresenta una caratteristica, un tassello ideologico di questa linea politica, e basta incastrarne pochi per riuscire a ricostruire l’immagine di ciò che è stato e che può ancora essere, seppur in forme diverse. E’ sufficiente ritrovare un paio di frammenti, per ricostruire la “nebulosa fascista”.

L’Ur-Fascismo (ndr: che è un altro modo in cui Eco definisce il Fascismo eterno) è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’ Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.

Riconoscere il fascismo come potenzialmente eterno è il presupposto necessario per saper ricostruire questo puzzle, per quanto chiaro o complesso possa essere.
Proviamoci insieme.
Il primo pezzo che ci ritroviamo davanti, caratteristico per Eco dell’Ur-fascismo è il tradizionalismo; lo si ritrova nei discorsi in cui non si fa altro che osannare i valori tradizionali – dai crocefissi nelle scuole alla contraddizione in termini che è la “famiglia naturale” – che sono alla base dell’identità degli italiani e chi si trova in disaccordo con essi è inevitabilmente dalla parte sbagliata e rappresenta una minaccia.
Il disaccordo è tradimento, è diversità e l’esasperazione della paura del diverso è un altro tassello da aggiungere al quadro.

Il primo appello di un movimento fascista è contro gli intrusi. L’ Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione.


A dimostrazione di quanto questi frammenti siano interconnessi fra loro, mettendo sul tavolo i termini minaccia e identità italiana, ne abbiamo inavvertitamente incastrati altri due.
L’ Ur-fascismo gioca sull’identità sociale, facendo diventare un privilegio quello di essere nati nello stesso paese, di condividere la stessa cultura, che, tra l’altro viene enfatizzata proprio dallo scontro – e non più dall’incontro – con l’Altro.

Gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l’ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati e il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia.

I nemici sono all’interno del nostro Paese – gli ebrei ieri, gli immigrati oggi – ma anche fuori: sono nemici gli altri paesi europei che non ne accolgono quanto noi, lo sono i poteri forti, e tutti gli sforzi sono volti a dipingere un’Italia invasa; poco importa che i numeri, e quindi i dati, ci diano delle informazioni diverse.
Tuttavia lo scontro con questi fantomatici nemici non è facile da portare a termine, né basta a far andare a letto sereno, ogni sera, un Ur-fascista con la consapevolezza di aver fatto ciò che poteva per difendere la tradizione da tutto ciò che lo spaventa: facile è che si sposti la volontà di potenza su questioni sessuali. Eccoci giunti al tassello del machismo, che ha come obiettivi da controllare le donne e il loro corpo – e non a caso la legge 194 è sempre più a rischio – e l’omosessualità, che viene colpita da attacchi omofobi o di cui viene negata l’esistenza (sì, mi riferisco al fatto che ovviamente le famiglie arcobaleno non esistono: troppo difficili da inquadrare nel tradizionalismo nostrano).
L’ Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale: essa infatti è stata il motore che ha portato al governo del cambiamento, ma siamo proprio certi che sia questa la trasformazione che vogliamo?
Giunti a questo punto del discorso, sembra ancora così esagerato parlare di nuovo fascismo?

2. Il Male e la democrazia

Per rispondere alla seconda obiezione partiamo dal concetto di male: siamo abituati a pensare, dalla nostra antenata Eva in avanti, che il male sia sinonimo di disobbedienza. Eppure, gli eventi del secolo scorso ci hanno insegnato che il male che ci è più prossimo è un altro, proprio quello dettato dall’abitudine all’obbedienza all’autorità.
Obbedire senza pensare – questa è la banalità del male secondo la Arendt: seguire dogmi, pregiudizi diffusi senza attivare la propria facoltà di pensiero. L’antidoto che si è trovato dopo il ’45 a questa esperienza del male è la democrazia, che può creare lo spazio necessario a far sì che ognuno possa esercitare la propria libertà di pensiero; la facoltà di giudizio cui auspicava la filosofa ebrea.
Ma fra libertà di pensiero e buttare fango sui diritti altrui, fra la democrazia e il sentirsi liberi di diffondere odio contro le minoranze, tuttavia, c’è una differenza non di poco conto. La democrazia non è il regime dove la volontà della maggioranza può tutto e il singolo può dire e fare quello che vuole: è una condizione che si fonda prima di tutto sull’uguale dignità degli esseri umani, sui valori di uguaglianza e libertà, e che difende questi valori dai loro nemici, quando occorre anche limitando la volontà della maggioranza, come ci ricorda la nostra stessa Costituzione con i suoi princìpi fondamentali.
I nostri padri costituenti sapevano bene infatti che, se nonno Benito aveva dovuto marciare su Roma per prendere il potere, Hitler era stato legalmente eletto, e che era necessario prendere tutte le precauzioni possibili per far sì che ciò non succedesse ancora. Da qui il divieto costituzionale di formare, sotto qualsiasi forma, un nuovo partito fascista, rafforzato poi dalle leggi Scelba e Mancino che vietarono rispettivamente l’apologia al fascismo prima, e l’incitazione alla discriminazione e la propaganda all’odio dopo; leggi di cui mi pare ogni tanto si dimentichi l’esistenza.
Quando si presentano queste dimenticanze, e i tempi diventano bui, già solo esercitare un pensiero critico ed evitare di ragionare per pre-giudizi, diventa una forma di resistenza; quando parole d’odio diventano insopportabili, trovare la voce necessaria per dissentire diventa un atto politico importante.


«Chi sa di poter dissentire sa anche che, in qualche modo, quando non dissente esprime un tacito assenso.» scriveva Hannah Arendt nel ricordarci il valore della disobbedienza civile, riprendendo un termine utilizzato un secolo prima da Thoreau, un filosofo e scrittore che nel 1846 si rifiutò di pagare le tasse, accettando di esser incarcerato, perché dissentiva dalle scelte schiaviste del governo degli Stati Uniti.

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Tutti gli uomini riconoscono il diritto alla rivoluzione, quindi il diritto di rifiutare l’obbedienza, e d’opporre resistenza al governo, quando la sua tirannia o la sua inefficienza siano grandi ed intollerabili.

In quest’ottica resistenza e disobbedienza sembrano coincidere, ed è con questa sovrapposizione che mi piacerebbe giungere ad una conclusione, che trova le parole migliori nel promemoria eterno di Eco:

Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai.

 

(…E pensare che, magari, quei libri erano messi lì per caso.)

 

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