di Maria Sara Cetraro
Le mutilazioni genitali femminili, cui spesso si fa riferimento con il termine infibulazione, consistono nella combinazione di diverse pratiche cui vengono sottoposte moltissime donne che vivono prevalentemente in Africa, penisola arabica e sud-est asiatico: dall’asportazione della clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali con successiva cauterizzazione, alla cucitura della vulva, che lascia aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale.
Inevitabilmente, tali interventi sul corpo delle donne provocano nel tempo gravissimi danni di carattere sia fisico che psicologico.
Tra gli scopi principali di questi rituali, riconducibili a tradizioni religiose popolari e non riscontrabili nel Corano o in altri testi sacri, c’è quello di impedire alla donna di conoscere l’orgasmo derivante dalla stimolazione del clitoride, riservandolo al solo atto sessuale. I rapporti risultano comunque impossibilitati fino alla defibulazione che viene effettuata direttamente dallo sposo in occasione del matrimonio, e risultano oltremodo dolorosi, perché legati spesso all’insorgere di cistiti, ritenzione urinaria e infezioni. Le puerpere, le vedove e le donne divorziate, inoltre, sono spesso sottoposte ad una seconda infibulazione, con lo scopo di ripristinare la situazione prematrimoniale di “purezza”.
Gravi problemi emergono anche al momento del parto: il bambino deve attraversare una massa di tessuto reso poco elastico a causa dei tagli cicatrizzati; il feto non è sufficientemente ossigenato dalla placenta e il protrarsi della nascita toglie ossigeno al cervello, rischiando di causare danni neurologici al nascituro; è frequente, inoltre, la rottura dell’utero durante il parto, con conseguente morte della madre e del bambino.
Contro questa insostenibile barbarie il Primo Ministro della Somalia Omar Abdirashid Ali Sharmarke ha preso una posizione netta, decidendo di firmare una petizione proposta dall’attivista Ifrah Ahmed, vittima lei stessa di mutilazioni. La donna, in un’intervista alla BBC, ha dichiarato: “La firma del premier è significativa, un passo importante per combattere un problema di cui in Somalia si parla poco”; ed ha aggiunto: “Sarà necessaria una campagna di informazione. […] la gente crede che le mutilazioni siano un obbligo religioso. Ciò quindi fa sì che le poche ragazze che non sono state vittime della pratica vengano insultate ed emarginate dalla società”.
Secondo le stime, in Somalia la pratica dell’infibulazione viene eseguita sul 95% delle donne, principalmente bambine di età compresa tra i 4 e gli 11 anni.
Estendendo lo sguardo al resto del mondo, il rapporto diffuso dall’UNICEF lo scorso 6 febbraio, in occasione della Giornata Mondiale dell’ONU contro le mutilazioni genitali femminili, fornisce un quadro della situazione a dir poco agghiacciante: almeno 200 milioni di donne e bambine sono state vittime di questa brutale pratica e, nel 2015, rispetto all’anno precedente, il numero è incrementato di 70 milioni.
D’altra parte, è aumentato anche il numero di Stati decisi a fare informazione al di fuori dei rispettivi confini, mettendo a disposizione statistiche e documenti significativi per sensibilizzare l’opinione pubblica. Analizzando i principali dati emerge che, tra le vittime di MGF, 44 milioni sono bambine e adolescenti, la maggior parte delle quali vivono in Gambia, Mauritania e Indonesia.
Tra i segnali positivi, invece, emergono quelli della Liberia, in cui le mutilazioni tra le ragazze dai 15 ai 19 anni sono diminuite del 41%, del Burkina Faso, dove si registra un -31% e del Kenya con un -27%.
La strada da percorrere è ancora irta di ostacoli: i provvedimenti legislativi possono essere stilati e attuati solo se, a monte, si verifica un cambiamento di mentalità. Ancora una volta, la questione educativa si profila come la vera emergenza, nelle nostre scuole così come nei Paesi in cui queste pratiche vengono messe in atto.
Un’educazione all’affettività e alla sessualità che renda consapevoli i nostri ragazzi e ragazze della preziosità di ogni corpo, della naturalità dei desideri e delle pulsioni, della profondità e bellezza dei sentimenti e delle emozioni, è il presupposto fondamentale affinché si possa istituire un dialogo con quelle culture in cui una tradizione illogica e schiacciante non lascia spazio all’individuo, che invece ha il diritto sacrosanto di realizzare se stesso/a nel dono *libero* di sé, del proprio corpo così come della propria intera esistenza.