Articolo di Alessandra Vescio
In questi giorni a Glasgow, in Scozia, si sta svolgendo la COP26, ovvero la ventiseiesima Conferenza delle Parti sul Cambiamento climatico delle Nazioni Unite, un appuntamento che – eccetto lo scorso anno che è stata sospesa a causa della pandemia – si svolge annualmente per fare il punto della situazione sul clima. Ogni anno dunque ǝ leader mondiali salgono sui loro inquinantissimi jet privati e si incontrano per discutere, fare progetti, analizzare e ascoltare cosa la scienza ha da dire riguardo l’andamento delle emissioni di gas serra e il futuro del Pianeta e delle specie viventi. E ogni anno il tutto si conclude con accordi, promesse e manifestazioni di intenti che sul momento appaiono concreti e verosimili e che nell’arco di poco tempo finiscono nel dimenticatoio, sbiaditi per esigenze di profitto immediato, atavico attaccamento ai propri privilegi e incapacità di pensare e agire in maniera lucida, lungimirante e soprattutto equa. Quest’anno non sembra che le cose stiano andando e andranno diversamente: per esempio, l’accordo preso finora, per cui più di quaranta Paesi e diverse organizzazioni hanno accettato di eliminare in maniera graduale il carbone per la produzione di energia elettrica entro gli anni Trenta-Quaranta, è stato già definito daǝ espertǝ come insufficiente.
Così, mentre la scienza continua a lanciare allarmi, produrre report e fornire dati concreti sullo stato del nostro Pianeta, chi ha nelle mani il potere di cambiare effettivamente le cose si finge particolarmente turbato da ciò che ci riserva il futuro ma poi preferisce rimboccarsi le maniche solo per continuare a nutrire un sistema che arricchisce i più ricchi e depreda e sfrutta tutto il resto.
Prendere coscienza di ciò inevitabilmente amareggia e può lasciare spaesatǝ e senza speranze. Sensazioni complicate che a volte però possono trasformarsi in rabbia e la rabbia, in certi casi e se usata nel modo giusto, può diventare motore di cambiamento, di spinta verso un futuro diverso, di incapacità di accettare le cose come stanno e desiderio profondo di immaginare un mondo nuovo. Un mondo nuovo lo immaginano e provano a costruirlo da tempo e ogni giorno Francesca Fariello e Chiara Ratti, imprenditrici e fondatrici di Cibo Supersonico, un progetto che manifesta in tutto e per tutto uno stile di vita e una filosofia di amore, rispetto e tutela dell’ambiente e di tutte le specie viventi. Francesca è infatti una chef vegana di grande talento e completamente innamorata del suo lavoro, che non è fatto solo di tecniche e selezione di ingredienti di qualità, ma anche di emozioni e connessioni profonde. Chiara (Ciarina) è social media manager e responsabile comunicazione di Cibo Supersonico ed è lei che spesso racconta e descrive il loro lavoro e il valore delle scelte che fanno. Grazie a eventi divulgativi, cene a domicilio, corsi e soprattutto percorsi di formazione e scoperta, Cibo Supersonico è entrato nelle case delle persone – persino le più scettiche – aprendo gli occhi e scardinando credenze e stereotipi, mostrando così che un modo di mangiare più rispettoso, amorevole e soprattutto buono è possibile.
Una delle ultime sfide che ha visto come protagoniste Francesca e Chiara è stato il mese a impatto sotto zero: dal 20 settembre al 20 ottobre 2021, infatti, le ragazze di Cibo Supersonico che sono anche una coppia nella vita hanno scelto di staccare il contatore dell’elettricità, affidarsi completamente a un piccolo pannello solare costruito ad hoc per loro e ridurre per quanto possibile i consumi. Il motivo di questa scelta è semplice: Francesca e Chiara volevano sensibilizzare le persone che le seguono sul riscaldamento globale e sulle emissioni di gas serra, ma anche capire loro stesse come raggiungere e abbracciare uno stile di vita più sostenibile, raccogliendo dati e numeri che potessero essere utili anche per il futuro.
I risultati di questo mese a impatto sotto zero sono impressionanti. Grazie all’aiuto di NEWPV, una startup italiana fondata da alcunǝ ricercatorǝ dell’Istituto IMEM-CNR di Parma che ha costruito per l’occasione un piccolo pannello solare a uso domestico, Francesca e Chiara hanno raccolto una serie di dati molto interessanti. ǝ ricercatorǝ infatti hanno messo a confronto i consumi di Francesca e Ciarina risalenti a ottobre 2019 (il 2020 è stato considerato come un anno non significativo a livello statistico) e i dati raccolti a ottobre 2021 durante l’esperimento, ed è emerso che, se due anni fa il consumo di energia elettrica è stato pari a 167 kWh, nel 2021 è stato di 12 kWh dal pannello solare (consumi dovuti non al pannello in sé ma alla sua realizzazione). Non attaccandosi alla presa elettrica, hanno risparmiato ben 55 Kg di CO₂. Inoltre, se nel 2019 hanno emesso 60Kg di CO₂ per i viaggi in macchina, 382.5 Kg di CO₂ per i viaggi in aereo e 15 Kg di CO₂ per i viaggi in treno, avendo scelto durante l’esperimento del mese a impatto sotto zero di muoversi solo a piedi, con i mezzi pubblici o col car sharing hanno emesso 2 Kg di CO₂ per il car sharing e 9 Kg di CO₂ prendendo il treno.
I consumi più alti, che hanno inciso per l’82.2%, riguardano il collegamento a Internet. Come spiega Stefano, uno deǝ ricercatorǝ, nel podcast racconto del mese a impatto sotto zero, il consumo di Internet, in termini di gigabyte, contribuisce in maniera importante alle emissioni di CO₂, al punto che “il mondo web è considerato la quarta potenza mondiale per le emissioni di CO₂”. Questo avviene perché, per funzionare, Internet ha bisogno di fare viaggiare le informazioni e “le informazioni viaggiano tramite infrastrutture molto energivore”. Se consideriamo soltanto i server alimentati con il mix europeo (per cui probabilmente stiamo tenendo fuori dal conteggio i server a cui si agganciano molti dei più usati social network), sappiamo che ogni gigabyte produce 2.25 chilogrammi di CO₂. Ogni volta che scrolliamo i nostri social, che controlliamo le mail, che accediamo a Internet, insomma, emettiamo CO₂ senza rendercene conto, e gran parte delle volte che usiamo i nostri dispositivi lo facciamo più per noia, che per una necessità effettiva.
Cibo Supersonico, che ha fatto questo esperimento soprattutto in un’ottica divulgativa e di sensibilizzazione e che quindi ha avuto bisogno di utilizzare il web per comunicare l’esperimento quotidianamente, ha utilizzato 160 GB in un mese che equivalgono a 360 Kg di CO₂. Un dato altissimo, certo, ma dall’esperimento sono emerse anche due riflessioni essenziali. Innanzitutto c’è la questione della divulgazione e dell’accessibilità: i social e Internet in generale possono ad oggi essere degli ottimi strumenti per informare e diffondere consapevolezza. L’importanza del mese a impatto sotto zero infatti è dovuta anche se non soprattutto al suo aspetto divulgativo: se non fosse stato raccontato sui social, sarebbe stato conosciuto da molte meno persone e avrebbe destato curiosità in molte meno persone. E questo, a sua volta, avrebbe portato un numero molto inferiore di persone che si sono fatte ispirare dall’esperimento di Chiara e Francesca e hanno scelto di informarsi o di adottare delle piccole o grandi abitudini sostenibili anche grazie a loro.
La seconda riflessione fondamentale che è venuta fuori dall’esperimento di Cibo Supersonico riguarda l’alimentazione. Come raccontano anche ǝ ricercatorǝ, se Chiara e Francesca fossero state onnivore e non avessero continuato a mangiare vegano, scegliendo per questo mese solo prodotti a KM 0, l’impatto del consumo di Internet si sarebbe abbassato fino a raggiungere il 48.6% e l’alimentazione avrebbe invece influito per un 47.6%. Mangiando vegano a Km 0 per un mese, invece, Cibo Supersonico ha prodotto 50Kg di CO₂ contro i 353 Kg di CO₂ che avrebbe prodotto se avesse adottato una dieta onnivora. È stata infatti l’alimentazione vegana e per di più a Km 0 a fare la differenza, dicono bene i dati. Riguardo il concetto di Km 0, Stefano di NEWPV spiega che, se è vero che ha un valore significativo per i vegetali (i costi di produzione infatti possono essere ridotti e a impattare sono soprattutto il packaging e il trasporto), nel caso della carne questo discorso non vale: “La carne a Km 0 è una super bufala, scientificamente provata”, dice il ricercatore, perché se andiamo ad analizzare il ciclo della carne rossa, dalla produzione fino alla cottura, è l’allevamento – molto più del trasporto – la fase che produce maggiori emissioni di CO₂.
Non è certamente sempre facile e possibile per tuttǝ avere accesso a vegetali a Km 0 ma di grande aiuto può essere anche solo imparare a leggere le etichette, fare caso alla provenienza, alla filiera e anche al packaging. Inoltre, è importante sapere che una dieta vegana anche se non propriamente a Km 0 produce la metà delle emissioni che derivano da un’alimentazione onnivora.
Per capire meglio questi dati, ma anche il valore che il mese a impatto sotto zero ha avuto, ho intervistato Chiara e Francesca che mi hanno raccontato meglio come hanno vissuto questo esperimento, da cosa è nata l’idea e cosa ha lasciato loro.
Come è nata l’idea di vivere un mese a “impatto sotto zero” e cosa è stato?
Francesca: Tutto è partito da quel momento di calma iniziale che abbiamo vissuto nel 2020. Un giorno Chiara era in mansarda e, mentre cercava un nuovo libro da leggere, si è imbattuta in “La mia vita a impatto zero”, un libro di Paola Maugeri (al momento non più disponibile), che per me è stato molto importante e che le ho consigliato di leggere. Nei mesi successivi, Chiara più volte ha fatto riferimento all’esperimento di Maugeri e ha iniziato a dirmi quanto sarebbe stato bello valutare di fare qualcosa di simile. Così abbiamo cominciato a tirare le somme per capire cosa sarebbe stato opportuno fare e a ragionare concretamente sulla possibilità di farlo. Lo abbiamo messo in agenda e abbiamo iniziato a lavorare su come muoverci tra impegni già presi e parte organizzativa che un esperimento del genere richiede.
Circa 8 mesi fa abbiamo fatto un appello sul nostro account Instagram, per chiedere se tra le persone che ci seguono ci fosse qualcunǝ che produce o conosce aziende che realizzano pannelli solari, e ci ha risposto una ricercatrice del CNR di Parma che aveva partecipato a un nostro evento dandoci la sua disponibilità. Così abbiamo conosciuto la startup NEWPV a cui abbiamo raccontato il nostro sogno. La loro reazione è stata “Siete matte, ma siamo con voi”. Ci hanno proposto di costruire per noi un piccolo pannello solare per gli spazi esterni della nostra casa, ma quando abbiamo mostrato loro com’è strutturata la nostra abitazione e il balconcino piccolo ed esposto anche piuttosto male, ci hanno subito detto che li stavamo mettendo alla prova, che stavamo facendo fare loro “un esperimento nell’esperimento”, dal momento che per noi avrebbero dovuto realizzare un pannello solare molto piccolo da usare anche in un periodo come quello di settembre-ottobre dove molte giornate sono nuvolose e per di più per uno spazio, come il nostro balcone, dove arriva poca luce. Alla fine abbiamo unito le forze, ci siamo confrontate con ǝ nostrǝ amicǝ e quello che sembrava un sogno difficilissimo da realizzare è diventato realtà.
Sicuramente è stata una sfida molto diversa rispetto a quella fatta da Paola Maugeri o da Colin Beavan in “No Impact Man” e una delle differenze sta anche nel fatto che noi avremmo continuato a utilizzare i mezzi necessari a comunicare e anche il gas. Per questo motivo, all’esperimento abbiamo associato il progetto di piantumazione, che pensavamo ci avrebbe potuto aiutare a raggiungere il nostro obiettivo.
Non eravamo infatti certe di riuscire a toccare lo zero perché non mastichiamo il mondo dell’energia, non ne sappiamo abbastanza, per cui siamo andate avanti per tentativi. Anche per quanto riguarda la piantumazione ci siamo affidate a una realtà locale, Piantumazione Selvaggia. Abbiamo pensato di donare noi stesse e di aprire le donazioni a chi ci volesse supportare in questo esperimento. Invece di supportarci acquistando un nostro corso di cucina, un servizio che offriamo, abbiamo chiesto di aiutarci donando alberi. Alberi che vanno a beneficio di tuttǝ. Inizialmente pensavamo che saremmo riuscite a riempire lo spazio di un terreno con 90-100 alberi, ma alla fine abbiamo raggiunto i 200 alberi, ed è grazie alla piantumazione – come si vede nei dati – che siamo andate sotto lo zero di emissioni.
Quali reazioni avete visto e state vedendo attorno a voi, tra le persone a voi care e chi vi segue sui social?
Chiara: Nella nostra bolla, le reazioni sono state tutte positive. Le persone ci hanno sostenuto con le donazioni, ci incoraggiavano, erano molto incuriosite. Noi ogni giorno cercavamo di dare qualche consiglio su delle pratiche da mettere in atto, come adottare un filtro per bere l’acqua del rubinetto oppure informare sull’esistenza dei pannelli solari portatili che sono comodissimi ad esempio anche per ricaricare il proprio cellulare quando si è fuori di casa. All’interno del nostro pubblico, l’esperimento è piaciuto tanto. Quando si esce fuori dalla bolla, però, quello che si trova è la resistenza. Quando le persone vedono questi atti, questi esperimenti, li considerano estremi o si focalizzano sui dettagli che a loro appaiono più estremi.
Francesca: Quello che è passato di più, che è rimasto è: “Oddio, queste due fanno la doccia fredda, chissà come vivono, vogliono tornare nelle caverne”. È vero abbiamo fatto la doccia fredda, ma c’è anche da dire che quando abbiamo cominciato non avevamo la minima idea di cosa impattasse di più e cosa di meno, e nessunǝ lo sa. Quindi per arrivare allo zero, fai il possibile. Abbiamo fatto una serie di cose che poi non si sono rivelate utili ed essenziali allo scopo. Guardando i dati, ci siamo rese conto di come le docce fredde non hanno significato praticamente nulla, fare la doccia calda non avrebbe limitato l’efficacia dell’esperimento. Muovendoci con i mezzi pubblici o a piedi, mangiando vegetale e attuando una serie di pratiche basiche, avremmo comunque raggiunto lo zero o saremmo andate sotto zero anche facendoci le famose docce calde. E questo ribalta le persone dalla sedia, perché non si ha la minima idea di quale sia il peso delle azioni che facciamo quotidianamente. Finché i dati non vengono visti, masticati, compresi e paragonati alle nostre vite non si ha idea dei nostri consumi.
Nel nostro esperimento però l’alimentazione è stata fondamentale per aiutarci a raggiungere quell’obiettivo iniziale e lo sapevamo: sapevamo già che l’alimentazione vegetale, soprattutto se a Km 0, è meno impattante di una dieta carnivora o onnivora. Con ǝ ricercatorǝ abbiamo visto come, senza un’alimentazione di questo tipo, non avremmo mai raggiunto l’impatto zero che volevamo raggiungere all’inizio dell’esperimento, se non tornando in quelle famose caverne di cui certe persone parlano. Un altro dato che è emerso, super commentato e che non ci aspettavamo, è l’impatto del collegamento a Internet, che ha raggiunto l’80%. È tanto. Però non abbiamo fatto nient’altro se non comunicare. Se fossimo state onnivore, quell’80% del collegamento a Internet si sarebbe ridotto al 40%, considerando che in Italia in media una persona consuma 110 grammi di carne/pesce al giorno. Se avessimo rinunciato alla comunicazione, i dati sarebbero stati molto diversi e il nostro impatto ancora minore, ma abbiamo compensato con la piantumazione. I primi 90 alberi che abbiamo piantumato, che hanno una vita che va dai quaranta ai sessanta anni ciascuno, ci hanno permesso di risparmiare una tonnellata di CO₂ al mese. In pratica, abbiamo tolto dalla nostra vita due anni della CO₂ emessa finora.
Cosa ci porta a pensare tutto questo? Che le opere individuali possono fare davvero molto. Le azioni del popolo devono esserci e devono essere guidate dall’informazione e dall’educazione sul tema. Io non biasimo le persone che non hanno il privilegio di informarsi, che non hanno i mezzi per farlo. Chi può, però, è importante che faccia ricerca approfondita.
Cosa manca secondo voi nella comunicazione che viene fatta riguardo le questioni climatiche? E qual è il ruolo che i Governi dovrebbero avere nel contrasto ai cambiamenti climatici?
Francesca: Dobbiamo capire che difficilmente la politica farà qualcosa di determinante, perché gli interessi che ci sono dietro sono giganteschi. Sembra non si possa parlare liberamente di contrasto ai cambiamenti climatici proprio per gli interessi economici e politici che vi sono dietro. Pensiamo anche a un altro aspetto. Quando parliamo di cambiamenti climatici e al modo per compiere scelte più sostenibili, si deve parlare di consumi. Il consumo implica l’acquisto ed è difficile – impossibile – che dall’alto ci venga detto di consumare meno e quindi acquistare meno. Viviamo in una società che è tutta propulsione all’acquisto, stimolata dalla pubblicità, da quegli standard di consumo proiettati ovunque. Ed è molto difficile che ci venga anche spiegato dalla politica il peso che ha il nostro potere personale. Per questo è importante la formazione personale.
Chiara: Tutto parte dall’educazione. Il nostro sogno è che nelle scuole venga dedicata un’ora alla sostenibilità, uno spazio in cui aǝ bambinǝ venga insegnato che impronta hanno le loro azioni sul Pianeta, tramite calcoli precisi con equivalenza in CO₂, in maniera tale che queste nozioni possano aiutarlǝ nelle scelte che faranno ogni giorno. Questo è un tipo di ragionamento che facciamo anche noi: per esempio, se dobbiamo fare un viaggio di cinquanta chilometri che non possiamo non fare, sappiamo qual è l’impatto che quel viaggio avrà sull’ambiente e proviamo a capire dove possiamo compensare e tagliare le emissioni. Già l’alimentazione, il nostro modo di mangiare, è un modo valido. Un altro è sicuramente la piantumazione.
Qual è o qual è stata la sfida più grande di questo periodo, la nuova abitudine a cui avete fatto più fatica ad adattarvi?
Francesca: Quando ci viene fatta questa domanda, e ci viene fatta spesso, non sappiamo mai cosa rispondere. Per noi il cambiamento non è stato radicale, perché eravamo già molto attente alla questione ambientale e alla sostenibilità prima di cominciare questo esperimento. Non abbiamo rinunciato a chissà quali cose.
Chiara: A me, posso dirti, piace molto guidare perché mi rilassa. Quando sono alla guida, sento che posso prendermi del tempo per pensare, perciò inizialmente mi è mancata la sensazione della guida, di quel momento per me. Durante l’esperimento però quel lasso di tempo che solitamente trascorrevo in macchina l’ho dedicato alla meditazione: mi prendevo un’ora per me e meditavo. Ci sono delle azioni che noi compiamo quotidianamente che funzionano come resistenze, perché abbiamo in mente un modello di come funzionano le cose e le facciamo in automatico.
Francesca: Penso che dovremmo proprio rivedere il concetto di “sfida”, di cosa sia davvero sfidante. All’inizio quando cambi abitudine pensi ti stia cambiando la vita, invece devi solo darti tempo. E noi quel tempo ce lo siamo preso tutto. Anzi, ci è dispiaciuto terminare l’esperimento e io non vedo già l’ora di tornare a nutrirmi di nuove conoscenze, staccandomi da una routine che mi è stata indotta e che mi spinge verso il consumismo. Una routine di cui non siamo consapevoli. Per questo consigliamo a tuttǝ di fare questo tipo di percorso: laddove c’è la possibilità di organizzarsi, è un’esperienza preziosissima.
Vi capita mai di sentirvi abbattute e rassegnate, di pensare che sia una “battaglia persa”? Come fate a ritrovare la speranza?
Francesca: Sì, ci capita e ci è capitato. Durante il mese del nostro esperimento, ogni giorno compilavamo un bullet journal in cui annotavamo le nostre emozioni. Metà del tempo eravamo tese. E questo è normale: siamo umane e lavorare da casa, comunicare con le persone, uscire dalla bolla comporta tensione. L’umore e i nostri stati d’animo sono stati anche un po’ in crisi. Se già con ǝ nostrǝ amicǝ vediamo palesemente delle resistenze quando parliamo di cambiamenti climatici e ambiente, proviamo a figurarci le reazioni delle persone che sono fuori dalla nostra cerchia. La tensione c’è, la viviamo e l’abbiamo percepita. La cosa forte che davvero ci aiuta, però, è sapere che non siamo sole, il fatto che siamo in due. Tra di noi, c’è un costante confronto, ci aiuta a dirci “Ok, ci stiamo capendo” e possiamo farci forza e supportarci.
Chiara: Comunicare a volte può essere difficile. Della nostra partecipazione a “Piazza Pulita” su La7 è rimasto solo il dibattito sulla mia maglietta (durante la trasmissione “Piazza Pulita”, Chiara ha indossato una t-shirt con la scritta “Go vegan. Eat Pussy”, NdR). Appena siamo uscite fuori dalla bolla, abbiamo visto pura merda. Commenti omofobi e sessisti che se non hai la mia stessa forza d’animo, possono farti rimanere molto male. È difficile parlare con quel mondo lì, perché si vede che non c’è la voglia di ascoltare certi temi, che non stanno ascoltando, che non c’è possibilità di dialogare. Quando incontriamo questo tipo di resistenza, noi andiamo via, perché sappiamo che rischiamo di farci male e questo non fa bene a noi e non fa bene alla comunità. Però io sono veramente convinta di quello che sto facendo e sono intenzionata a continuare a comunicarlo. Perciò parliamo con chi può capire ed è interessatǝ; magari quella persona inizia a capire di cosa si sta parlando e pian piano comincerà a parlarne ad amici e al suo pubblico e da lì si potrà arrivare allo zoccolo duro di chi pone resistenza.
Cosa avete scoperto e state scoprendo di voi stesse, della relazione che avete col Pianeta e con le altre persone, in questo mese di impatto sotto zero?
Francesca: Sicuramente abbiamo capito che avere amicǝ che vivono a distanza durante questo esperimento è terribile. Non puoi incontrarlǝ, non puoi chiedere loro di venirti a trovare proprio perché questo comporterebbe un impatto sull’ambiente, e questo è stato difficile.
Chiara: Una scoperta bella che ho fatto è stata l’esperienza nell’azienda agricola a 100 metri da casa nostra. Si tratta di un’azienda su cui ci siamo informate prima riguardo il tipo di coltivazione che fanno e delle condizioni di lavoro, perché anche guardare al modo in cui chi lavora è trattato è per noi fondamentale quando compiamo delle scelte. Questa azienda ci ha permesso di raccogliere i prodotti che poi andavamo a consumare e lì abbiamo avuto la possibilità di vedere il ritmo della natura. Ogni volta che si entrava in questa azienda, si incontrava un ambiente completamente nuovo. Io sarei stata lì per ore. E poi andare a raccogliere le verdure che cucini due ore dopo è qualcosa di speciale. Oltretutto, stiamo parlando di prodotti biologici, che hanno un sapore speciale, completamente diverso, molto più buono di quello che possono avere le verdure anche dei migliori negozi di grande distribuzione.
Francesca: Una mia scoperta bella è stato il modo di cucinare. Di norma mi capitava di cucinare e sentirmi sopraffatta dai ritmi quotidiani, e se cucini per tante persone è normale. In questo mese invece non mi sono mai sentita così. Anzi, per me, cucinare è stato molto stimolante e infatti ho tirato giù nuove modalità di cucina. Dovevo solo seguire il ciclo naturale dei prodotti che avevo che non dovevano deteriorarsi e che non avevo la possibilità di conservare, quindi è stata una cucina più parsimoniosa, ma anche più pulita e più leggera. E infatti abbiamo anche dormito benissimo in questo mese. Questo esperimento ci ha dato una serie di cose che si sono rivelate dei doni.
C’è qualcosa che vorreste dire, che non vi ho chiesto e che ci tenete che emerga e rimanga di questo mese a impatto sotto zero?
Francesca: Ci teniamo a dire che noi siamo due professioniste che hanno messo da parte per un momento il proprio lavoro per fare un esame della propria consapevolezza riguardo la CO₂, i nostri consumi e i numeri reali. Lo abbiamo fatto perché altrimenti non abbiamo una legenda per capire i dati e integrarli nella nostra vita. Un altro aspetto importante che vogliamo sottolineare e che ci teniamo che rimanga è che gran parte delle nostre emissioni è regolata dall’alimentazione e scegliere un’alimentazione vegetale aiuta moltissimo in questo senso. Per contrastare i cambiamenti climatici, non è necessario ribaltare la casa e partire da zero: si può partire da quello di cui ci cibiamo tre volte al giorno e scegliere un’alimentazione dove non c’è sfruttamento di risorse, che provoca emissioni ma anche fine della vita. Quest’ultima cosa, soprattutto, è una di quelle che non si dice mai perché provoca resistenza, allontana le persone, ma è così: un’alimentazione vegetale salva delle vite. La differenza in termini ambientali per noi l’ha fatta l’alimentazione e i dati lo dicono chiaramente. E noi la nostra differenza la facciamo già, la stavamo già facendo.