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Cosa e perché L’ha scritto una femmina [Progetto Sorellanza]

Cosa e perché L’ha scritto una femmina [Progetto Sorellanza]

Articolo di Carolina Capria

Un giorno la professoressa di italiano arrivò in classe e disse che durante le vacanze di Natale avremmo tutti dovuto leggere un libro.
A noi ragazzine toccava “Piccole donne”, ai nostri compagni “Tre uomini in barca”.
Mi piaceva molto leggere già allora e così entusiasta per quella novità proposi subito ai miei compagni di fare a cambio una volta terminati i libri.
“Piccole donne è da femmina” mi risposero più o meno tutti, e con i pochi mezzi che avevo allora per interpretare la realtà, mi dissi che in fondo avevano ragione, il libro di Louisa May Alcott aveva per protagoniste solo donne, era comprensibile che a un ragazzino non interessasse. Così come era comprensibile e normale che a me invece quel libro che parlava di tre uomini che risalivano il fiume Tamigi assieme al loro cane, incuriosisse molto.
Era normale, quindi, che io ritenessi universali le storie che avevano per protagonisti dei maschi, mentre i miei compagni etichettassero la storia di quattro sorelle che crescono con la mamma perché il padre è al fronte, come qualcosa che non nasceva per parlare a loro.

Sono trascorsi più di vent’anni da allora, e io ho passato dall’essere solo una persona che legge libri a essere anche una persona che per lavoro i libri li scrive, e quella frase ho continuato a sentirmela ripetere. “Ma è da femmine!” mi hanno detto un sacco di bambini quando ho parlato loro dei libri che scrivevo e che avevano per protagoniste delle ragazzine, o quando consigliavo di leggere un capolavoro come “Pippi Calzelunghe”. Oppure, quando mi è andata meglio, ho ricevuto quello che molte scrittrici si sono sentire rivolgere col tono del sommo complimento: “Non sembra scritto da una donna.”

Nel racconto “Il mio mestiere”, Natalia Ginzburg scrive:

“L’ironia e la malvagità mi parevano armi molto importanti nelle mie mani; mi pareva che mi servissero a scrivere come un uomo, perché allora desideravo terribilmente di scrivere come un uomo, avevo terrore che si capisse che ero una donna dalle cose che scrivevo.”

In questi vent’anni, però, sono cambiata pure io, e se all’inizio questo modo di interpretare la lettura mi pareva tutto sommato accettabile, col tempo e lo studio ho iniziato a vedere come invece non fosse altro che espressione di una società che ancora fa fatica a riconoscere a uomini e donne le stesse possibilità e la stessa autorevolezza.

La voce degli uomini parla a tutti, quella delle donne solo alle donne.

E così, visto che sono abituata a raddrizzare le cose che mi sembrano storte piuttosto che stare a guardarle, ho deciso che qualcosa potevo provare a farlo anche io, nel mio piccolissimo, e a febbraio ho creato una pagina che si chiama L’ha scritto una femmina, dove racconto i libri che ho amato o che scopro strada facendo.
Tutti scritti da donne.

Una scelta politica, per quanto mi riguarda, che mi sono imposta io per prima. Non di leggere esclusivamente donne, ovviamente, ma di essere più attenta nella scelta per stanare e correggere alcuni automatismi e pregiudizi di cui io stessa sono vittima. E anche per sostenere con i miei mezzi il lavoro e la passione di altre donne – dicendo loro che sono brave, innanzitutto.
Perché basta osservare qualche dato per rendersi conto di come le scrittrici si trovino a scontrarsi nell’editoria con il solito soffitto di cristallo, e spesso vengano relegate nei cantucci rosa della “narrativa femminile”, lontani dai luoghi di potere e dai riconoscimenti.
In 71 edizioni il premio Strega è stato vinto da autrici solo in 11 occasioni, mentre il premio Campiello se lo sono accaparrate 14 donne a fronte di 56 edizioni. E uscendo dall’Italia? Il Nobel per la letteratura è stato attribuito a 14 donne e a 97 uomini. Sono numeri, e i numeri sono tanto freddi quanto reali.

In questi mesi “L’ha scritto una femmina” è cresciuto tanto, in un modo che non avrei mai saputo presagire. Tantissime persone mi scrivono per consigliarmi libri e ogni volta che io posto le mie riflessioni su un romanzo nascono discussioni che mi stanno permettendo non solo di conoscere autrici che magari non mi erano note, ma anche di arricchire e affinare la mia consapevolezza. Parlo di donne, ascolto le donne.

Nel 1847 Charlotte Brontë all’interno di Jane Eyre, scriveva: “Si suppone che le donne siano generalmente molto calme; ma le donne sentono come gli uomini e come loro hanno bisogno di esercitare le loro facoltà, hanno bisogno di un campo per i
loro sforzi. Soffrono esattamente come gli uomini d’essere costrette entro limiti angusti, di condurre un’esistenza troppo monotona e stagnante; e i loro più privilegiati compagni danno prova di ristrettezza di mente quando affermano che le donne dovrebbero accontentarsi di cucinare e far la calza, di suonare il pianoforte e ricamare.”

Le donne hanno sempre parlato, hanno sempre raccontato come potevano ciò che erano e cosa desideravano, ma sono in pochi quelli che le hanno ascoltate.
Forse è il momento che le cose cambino.