Articolo di Alessandra Vescio
Secondo le indagini condotte dall’ISTAT sui centri antiviolenza e i servizi offerti dalle case rifugio, nel 2017 sono state 49.152 le donne che si sono rivolte a un centro antiviolenza e, di queste, 29.227 hanno iniziato un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Nello stesso anno, 1.786 sono state accolte in case rifugio, ovvero quelle strutture che accolgono le donne e i loro figli vittime di violenza maschile per tutelarne l’incolumità. Circa 4.400 sono poi le operatrici che nel 2017 hanno lavorato nei centri antiviolenza, il 56,1% in forma volontaria. E in queste indagini è stata presa in considerazione solo una parte delle strutture di accoglienza, dei centri antiviolenza e delle case rifugio presenti sul territorio italiano.
Basterebbero questi dati per comprendere l’importanza di alcuni spazi, per capire quanto sia essenziale per una donna vittima di violenza avere un punto di riferimento e un luogo in cui mettersi al riparo, cercare riposo e iniziare a ricostruirsi, passo dopo passo. Eppure l’evidenza dei fatti sembra contare meno di niente, specialmente di fronte al profitto. O forse chiudere gli occhi e voltarsi dall’altra parte sono scelte politiche, ideologiche. Forse le regole che si fanno muri sono imposizioni volute, strade senza via d’uscita perché quell’uscita non è condivisa, non è interessante o forse non è addirittura accettabile.
Sono tante e tutte lecite le domande che vengono fuori quando una casa delle donne riceve una minaccia di chiusura. E sono tante le domande che in questo momento stanno assillando noi e chiunque conosca Lucha y Siesta e ciò che sta vivendo.
Cos’è Lucha y Siesta
Lo dice il nome stesso: Lucha y Siesta è “lotta e riposo”. Attiva a Roma dal 2008, in Via Lucio Sestio nel quartiere Tuscolano, Lucha y Siesta è un centro antiviolenza, una casa rifugio e una casa di semiautonomia per le donne e i loro figli che intraprendono percorsi di fuoriuscita da situazioni di violenza maschile. A ogni donna Lucha y Siesta offre innanzitutto un riparo sicuro, accompagnato da supporto psicologico professionale, orientamento lavorativo e sostegno legale gratuiti. E per ciascuna di esse è previsto un percorso personalizzato di fuoriuscita dalla violenza, basato sull’autodeterminazione e senza limiti di tempo: dentro Lucha y Siesta, le donne e i loro bambini possono stare finché ne avranno bisogno.
Lucha y Siesta è poi anche una realtà integrata nel territorio in cui vive, a cui offre supporto, stimoli e accoglienza – e da cui riceve riconoscenza e affetto. Perché Lucha y Siesta vive e trasforma in senso femminista gli spazi in cui si muove e lo ha fatto fin dal nome, quel gioco di parole che nasce dalla femminilizzazione della fermata metropolitana Lucio Sestio, vicina alla casa romana. All’interno di Lucha y Siesta si trovano quattordici stanze, una biblioteca, un giardino, una stanza dei giochi per le bambine e i bambini, un laboratorio di sartoria, uno sportello di ascolto psicologico per le donne che vivono dentro la casa ma aperto a tutt* a prezzi contenuti.
Ma Lucha y Siesta è anche uno spazio di elaborazione politica femminista e transfemminista, è aggregazione sociale e solidarietà, è il luogo in cui attraverso incontri, dibattiti, rassegne cinematografiche, presentazioni di libri e attività culturali di ogni tipo si lotta costantemente per l’abbattimento della violenza di genere e della cultura patriarcale e per la costruzione di una società che non conosce stereotipi. Non “soltanto” casa rifugio, dunque: Lucha y Siesta è un vero e proprio progetto di accoglienza, luogo di incontro e opportunità di crescita collettiva, che attraverso il pensiero femminista immagina e costruisce un mondo migliore.
Com’è nata Lucha y Siesta
È l’8 marzo 2008 e un gruppo di attiviste femministe romane, scosse dall’ennesimo femminicidio, decide che la Giornata internazionale della donna sia la data giusta per dare inizio a un progetto politico femminista, che sia una risposta concreta alla violenza di genere. Unite e determinate, le attiviste occupano un edificio abbandonato, o meglio “lo liberano e lo restituiscono alla comunità”. Lo stabile è una vecchia stazione degli anni Venti, di proprietà di ATAC SPA, ormai in disuso da decenni e abbandonato a se stesso e al degrado assoluto. All’interno dell’edificio, le attiviste trovano di tutto, dai topi ad animali morti, e ci vorranno mesi perché quell’edificio in rovina si trasformi in un punto di riferimento per il quartiere e la città. Così nasce Lucha y Siesta.
Cosa sta succedendo a Lucha y Siesta
Nel dicembre 2017, l’edificio di Lucha y Siesta viene inserito nel Piano di Concordato dell’ATAC, ovvero in quella lista di immobili di proprietà dell’azienda dei trasporti romana che devono essere messi in vendita per risanare i debiti ed evitare il fallimento dell’azienda stessa. Messo alla stregua di palazzi fatiscenti, edifici abbandonati e stabili lasciati al degrado, tutti di proprietà di ATAC e che finiranno all’asta, il progetto di Lucha y Siesta rischia dunque di chiudere. E questo nonostante l’importanza dello spazio di Via Lucio Sestio sia riconosciuta dalla comunità ma anche dalle realtà istituzionali locali, nonostante la riqualifica e rimessa a valore di un edificio altrimenti inutilizzato, nonostante le attività, i progetti, i servizi e gli obiettivi raggiunti dalla casa romana.
Sono trascorsi due anni dalla notifica della messa in vendita e da dicembre 2017 si sono susseguiti tavoli, discussioni e analisi, a cui il Campidoglio e l’azienda dei trasporti controllata dal Comune hanno risposto con disattenzione e vuote rassicurazioni. Per questo motivo Lucha y Siesta ha scelto di contrattaccare, di oltrepassare i limiti dell’imposto e agire. Dopo diverse iniziative che si sono tenute durante l’anno, tutte volte alla riconquista dei territori e degli spazi, il 7 settembre è nato il Comitato “Lucha alla Città”, aperto a tutt* e a cui hanno già aderito volti noti, artist*, attivist* e associazioni. Il comitato ha lo scopo di creare una fondazione per l’acquisto collettivo dello stabile di Via Lucio Sestio all’asta: perché Lucha y Siesta è di tutt* e, se è in vendita, abbiamo tutt* il diritto di acquistarlo e di farlo insieme.
Cosa rischiamo di perdere
A fine agosto, l’azienda dei trasporti romana controllata dal Comune di Roma avvisa con una lettera Lucha y Siesta che il 15 settembre si sarebbe verificato il distacco delle utenze e il conseguente sgombero. Il Campidoglio ottiene una proroga, inizialmente senza comunicare una nuova data, poi facendo trapelare la possibilità che fosse a metà novembre, e comunque senza proporre alle attiviste e alle donne della casa delle alternative. In un successivo incontro, le militanti di Lucha y Siesta denunciano di aver riscontrato ancora una volta uno scarso interesse da parte delle Istituzioni nei confronti del progetto femminista e del futuro delle donne che vivono a Lucha y Siesta, ma anche di tutte coloro che un domani potrebbero aver bisogno della casa romana. Uno scarso interesse, dicono sempre le attiviste, dovuto soprattutto alla mancanza di conoscenza di ciò che realmente è e fa Lucha y Siesta.
Lo dimostra la proposta del Comune di un trasferimento delle donne e dei minori presenti nella casa di Via Lucio Sestio in quattro appartamenti fino “al raggiungimento della loro autonomia”, senza però specificare dove si trovino queste strutture, cosa si intenda per “raggiungimento dell’autonomia” e quali garanzie vengano assicurate alle donne che necessitano di una casa rifugio per la salvaguardia della loro incolumità.
“Soluzioni-tampone” le ha definite il Comune di Roma, che non tengono evidentemente conto del progetto politico, collettivo e lungimirante quale è Lucha y Siesta e di quanto le donne vittime di violenza abbiano bisogno di risposte a lungo termine. Un errore comune, questo, di considerare la violenza sulle donne una situazione emergenziale con interventi solo nell’immediato e mai strutturati. Un errore che porta a non investire nella prevenzione e nella cultura di genere e che non riconosce (o non vuole riconoscere) l’inscindibile legame tra la violenza maschile sulle donne e la società patriarcale in cui viviamo.
Dal 2008, Lucha y Siesta ha accolto 142 donne e 62 minori e ne ha sostenute nel loro percorso di uscita da situazioni di violenza circa 1200. Secondo i dati della stessa casa romana, il contributo volontario delle attiviste di Lucha y Siesta avrebbe fatto risparmiare al Comune di Roma circa 6.776.586€ in undici anni. Senza contare il risanamento dello stabile altrimenti lasciato abbandonato.
Chiudere Lucha y Siesta vuol dire dunque ridurre le opportunità di accoglienza per le donne che vogliono uscire da situazioni di violenza e sovraccaricare le altre realtà esistenti che, come sostiene il report delle associazioni di donne a cura di Donne in Rete contro la violenza (D.i.Re), non ricevono già ora finanziamenti sufficienti a garantire i servizi necessari. A ciò si lega un altro problema, ovvero le criticità dell’Italia riguardo l’attuazione della Convenzione di Istanbul. Nel 2013 infatti l’Italia ha ratificato la «Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica», redatta a Istanbul dal Consiglio d’Europa nel 2011. Attraverso questa Convenzione, i Paesi partecipanti sono per la prima volta vincolati ad agire da un punto di vista giuridico e normativo sulla questione della violenza sulle donne, considerata una violazione dei diritti umani e definita come “una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”. Secondo il report di D.i.Re, però, l’Italia non predispone di tutti quei servizi imposti dalla Convenzione di Istanbul:
In Italia non tutti i Centri antiviolenza di donne specializzati dispongono di case rifugio per carenza di finanziamenti, il dato sui rifugi raccolto dalle ONG citate indica un numero nettamente inferiore ai 258 citati dal DPO: 79 (di cui 50 della rete associativa nazionale D.i.Re), per un totale di 627 posti letto. Un numero distribuito in maniera disomogenea sul territorio nazionale e inadeguato per rispondere ai bisogni e alla sicurezza delle donne che subiscono violenza e in totale violazione della raccomandazione (EGTFV (2008) 6) che indica come parametro numerico adeguato di alloggi sicuri in rifugi per donne specializzati, disponibili in ogni regione, un posto letto per 10.000 abitanti. Secondo la citata ricerca di Wave, in Italia sarebbero necessari 6.078 posti letto, ne mancano ben 5.451
A Roma, nello specifico, Lucha y Siesta offre 14 posti letto contro i 25 messi a disposizione dal Comune di Roma, per un totale molto al di sotto di quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul. Cosa succederebbe se venissero eliminati persino i 14 posti letto di Lucha y Siesta? Quali garanzie il Comune di Roma sarebbe in grado di offrire alle donne e ai minori che necessitano di un rifugio concreto e a lunga durata perché a rischio? Dove vanno le donne una volta che si sono rivolte ai centri antiviolenza per denunciare la loro situazione, se nelle proprie case non sono più al sicuro ma in città non ci sono più spazi sufficienti per accoglierle? E ancora, quali risposte concrete e strutturate stanno offrendo la Capitale e l’Italia tutta al fenomeno della violenza maschile sulle donne, al sessismo e alle discriminazioni sempre più evidenti e laceranti nel nostro Paese?
Le risposte a queste domande hanno la forma del silenzio, un silenzio che fa male perché persino la sicurezza e la vita delle donne e dei loro figli risultano meno importanti di tutto il resto. Perché salvare un’azienda come l’ATAC non può significare il sacrificio di Lucha y Siesta, delle donne vittime di violenza e dei loro figli, di quelle che la casa ha accolto, sta accogliendo e potrebbe accogliere già domani. Di tutt* coloro che in Lucha y Siesta riconoscono un’opportunità e una speranza di un mondo oltre gli stereotipi e oltre le differenze.
La chiusura di uno spazio come Lucha y Siesta è una minaccia politica, sociale e ideologica. È l’ennesimo muro che la politica costruisce sulla pelle di chi è più debole. Ma all’accanimento e al silenzio fatto di barriere, le attiviste di Lucha y Siesta rispondono ancora una volta con l’azione, la resistenza, l’affermazione di libertà.
Il 13 novembre è prevista l’interruzione delle utenze dello stabile di Via Lucio Sestio e la casa romana Lucha y Siesta ha bisogno della partecipazione e del supporto di tutt* e in qualunque forma.
Il comitato “Diamo Lucha alla città” ha lanciato un crowdfunding per raccogliere fondi e acquistare collettivamente la struttura di Via Lucio Sestio. Qualora non si riuscisse a raggiungere questo risultato, i fondi ottenuti verranno reinvestiti e utilizzati per la progettazione di una nuova Lucha Y Siesta, dovunque rinascerà. Perché comunque rinascerà. Per partecipare al crowdfunding e sostenere Lucha y Siesta, potete fare una donazione cliccando qui.
“Se il mondo ci vuole precarie, subalterne e disilluse, noi saremo sicure protagoniste del futuro”