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“Mai più indifesa”: la psicoterapia nelle relazioni disfunzionali
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“Mai più indifesa”: la psicoterapia nelle relazioni disfunzionali

Articolo di Manuel Carminati

“Due gli obiettivi di questo libro:

1) analizzare in modo semplice e accessibile i meccanismi psicologici che spingono inconsapevolmente molte donne a costruire e mantenere relazioni fonte di sofferenza o vittimizzanti;

2) fornire una guida verso le possibili soluzioni al problema.”

Inizia proprio così, con parole di grande pragmatismo e dagli obiettivi alti di chi crede nel proprio modello teorico, il libro di Chiara Gambino e Giampaolo Salvatore dal titolo “Mai più indifesa”, presentato venerdì 8 novembre a Roma, presso il Circolo Ufficiali della Marina Militare.

“Mai più indifesa” è il frutto del lavoro congiunto di due psicoterapeuti che operano e insegnano tra Roma, Salerno e il resto del Paese. Due specialisti di formazioni simili ma non del tutto sovrapponibili che hanno fuso la loro notevole esperienza sui temi di genere e della relazione disfunzionale per creare un libro che parla alle donne ma punta a un pubblico eterogeneo per livello di preparazione e interesse alla tematica.

Chiara Gambino e Giampaolo Salvatore sono prima di tutto due clinici, due operatori della salute mentale e questo traspare chiaramente: con il loro libro, in particolare la prima parte, i due autori ci invitano a conoscere di persona le donne che loro hanno incontrato come pazienti e ne rendono un’immagine a tutto tondo, rispettosa, scavalcando agilmente l’errore tipico della descrizione aridamente diagnostica della vittima di violenza. Pur mantenendo la dimensione del “caso clinico”, il formato più potente che un docente possa utilizzare nella formazione e nel confronto tra terapeuti, le donne di Gambino e Salvatore hanno una storia da raccontare preziosissima, la loro, e questo viene reso con sapienza, facendo di loro le vere protagoniste.

Sono donne con un problema: un compagno violento che ha trovato il modo, tra le pieghe più delicate della loro vita psicologica, di renderle vittime di una relazione abusante. Qui sta la svolta tecnica e retorica fondamentale per prendere seriamente in carico pazienti di questo tipo e poterne parlare sensatamente: la narrazione dei casi di violenza è arricchita dai chiaroscuri della relazione, dalle caratteristiche personali di entrambi gli attori, il violento e chi è violentato. Così il racconto si snoda tra gli episodi narrati e i riferimenti teorico-clinici, esemplificati con semplici rimandi alla vita quotidiana, dove trova spazio anche un pizzico di ironia. Il racconto è intervallato da domande dirette proprio a te, la lettrice, chiamata a partecipare alla discussione da vera protagonista.

Chi oggi si occupa clinicamente di violenza di genere cammina su una linea tanto chiara quanto sottile: è tenuto a porre attenzione a tutti gli attori coinvolti nella relazione, alla ricerca dei meccanismi psicologici in atto nell’interazione, non solo quelli che distinguono la vittima dal violentatore. Lo spiega con disarmante semplicità Giancarlo Dimaggio, psicoterapeuta e docente di grande fama, nella prefazione al testo: “La cosa più dannosa che possiamo fare è attribuire tutto il problema al di fuori e da lì non se ne esce”. È infatti facile scivolare verso una narrazione di parte, che per quanto naturale e quasi automatica, non può svelare le cause dei comportamenti disfunzionali nella coppia e finisce per vittimizzare o colpevolizzare la donna, oltre a lasciare l’uomo, ormai mostro, senza appello perché privo di dimensione umana.

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Qui non viene commesso questo errore: queste donne hanno esplorato autonomamente, con un percorso terapeutico lungo e articolato, le origini remote del problema, le proprie debolezze e le risorse che hanno a disposizione, così da poter generare liberamente la soluzione più adatta a superare la relazione di abuso e riscrivere la propria storia personale.

Le tecniche per rendere possibile questa esplorazione e la costruzione di una propria via di uscita sono il tema della seconda parte del libro. Il testo qui si fa più complesso perché dedica spazio al lessico tecnico che sostiene il discorso terapeutico e spiega il fondamento teorico del percorso di terapia. Infine, negli ultimi capitoli vengono illustrate le tecniche corporee e immaginative che gli autori propongono alle loro pazienti nel laboratorio di gruppo chiamato “Mai più indifese” e nel trattamento psicoterapeutico individuale.

Che in un libro scritto da psicoterapeuti si parli di jiu jitsu, tai chi chuan e meditazione ho’oponopono (citando San Francesco e Sun Tzu) potrebbe stupire i neofiti della psicoterapia contemporanea e scandalizzare i puristi; questo libro parla soprattutto ai primi, soprattutto a chi ha voglia di mettersi in discussione. Da anni è in corso un’ampia integrazione dei saperi in ambito clinico: la psichiatria, la scienza medica tradizionale, il sapere psicologico di diversi orientamenti, l’antropologia culturale, la farmacologia convenzionale e le arti curative arcaiche, l’etologia e il dibattito evoluzionista, le tecniche meditative, le filosofie orientali, le arti marziali e persino le dottrine di fede ci offrono spunti di discussione del sapere clinico. Il dibattito mente-corpo e la ricerca del benessere hanno percorso anni luce dalle origini della disciplina. Un esempio di questo ricco discorso è il libro che Giampaolo Salvatore ha scritto con Giancarlo Dimaggio, Paolo Ottavi e Raffaele Popolo, dal titolo “Corpo, immaginazione e cambiamento. Terapia metacognitiva interpersonale” e che è la dimostrazione di quanti passi avanti siano stati fatti verso un’integrazione dei diversi metodi in psicoterapia, di come la terapia oggi abbia cambiato forma e si sia potenziata facendo propri strumenti che arrivano da mondi lontani.

Esiste un principio guida che tiene insieme questa caotica raccolta di informazioni, ovvero la necessità di trovare al proprio interno, nel proprio corpo in azione, gli strumenti per ottenere il benessere psichico, fino alla propria realizzazione personale. Con gesti semplici e domande dirette trovare, seguendo la via che si costruisce gradualmente nella nuova relazione terapeutica, risposte che siano vere per se stesse. È fondamentale tenerlo a mente, una mente aperta, per intervenire in questo come negli altri ambiti della psicologia clinica.

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