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La rivoluzione Zara? No. Unisex vs Genderless
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La rivoluzione Zara? No. Unisex vs Genderless

Articolo di Nicola Brajato

Zara debuts Genderless clothing”. “Zara launches a new Gender-Nautral collection”. E in fila tanti altri titoli che nelle ultime ore celebrano la nascita in casa Inditex di una collezione che vuole abbattere gli stereotipi di genere da una prospettiva vestimentaria.
Tante volte mi sono sentito dire che la moda genderless che vediamo sfilare in passerella è soltanto un’illusione per via dei prezzi spropositati che poi troviamo nei negozi. Come darvi torto. Ma penso che un primo passo importantissimo sia quello di creare un’estetica, di dare forma ontologica ad un immaginario che è sempre stato nascosto da una cultura egemonica che impone la binarietà come unica soluzione. Partendo da questo presupposto, nel vedere uno dei più grandi brand del fast fashion system, conosciuto per la prontezza nella proposta degli ultimi trend e per l’ottimo rapporto qualità-prezzo, mi sono detto “Ecco! Ci siamo. È giunto il momento della diffusione della moda genderless!”. Troppo bello per essere vero.
Ma entriamo nello specifico.

Perplessità #1. I dubbi partono già dalla home page del sito. Nuovi arrivi, Donna, Trf, Uomo, Bambini. E la tanto attesa sezione Genderless? Dov’è? Dopo un po’ di ricerche ci arrivo. I passaggi sono questi: Donna, linea Trf e, sotto tutte le varie categorie, troviamo “UNGENDERED”. Un-gendered, privo di genere. E allora perché soltanto sotto la sezione Donna? Forse perché è solo il gentil sesso che può “giocare” con la moda? Perché l’uomo si potrebbe spaventare nel venire associato a stili femminili? Ma lasciamo per un momento la questione aperta.

Perplessità #2. Scavalchiamo allora il product placement poco genderless e analizziamo il prodotto nella propria forma. T-shirt bianche, jeans, felpe grigie vengono contestualizzati con una mancanza di originalità che rimanda ad un concetto basico di abbigliamento. Perché di questo si tratta.

Perplessità #3. La descrizione dei capi acquistabili mischia con una confusione disturbante i termini “UNISEX” e “UNGENDERED”, usandoli come sinonimi. E credo che la base del problema sia proprio questa. Cerchiamo dunque di fare un po’ di chiarezza su due termini che possono sembrare interscambiabili ma che invece nascondono significati culturalmente e generazionalmente diversi.

Il termine unisex nasce negli anni sessanta e viene associato ad un tipo di abbigliamento che ha l’obiettivo di reagire contro la rigida imposizione dei tradizionali ruoli uomo-donna della generazione precedente. Questo movimento ha prodotto uno stile che flirta con l’idea di gender neutrality e che nella sua concretezza si presenta sotto il nome di “uniformità”, perché, alla fine, è di questo che si tratta. Per comprendere meglio questo fenomeno ci può essere d’aiuto l’originale e attenta analisi della studiosa Jo B. Paoletti in Sex and Unisex: Fashion, Feminism, and the Sexual Revolution.

JO PAOLETTI

L’autrice sostiene che l’ondata dell’unisex style abbia creato sì un concetto di uniformità, ma con un’inclinazione al maschile. Un processo stilistico che ha reso più mascolino l’abbigliamento femminile, cucendo sugli abiti concetti quali comfort e funzionalità. Ma l’operazione inversa non è stata alquanto vivace. Infatti i tentativi di femminilizzazione della moda maschile sono stati brevi e circoscritti. Paoletti indica come fine di questo fenomeno la metà degli anni ’70 affermando che “The fashions of the 1960s and 1970s articulated many questions about sex and gender but in the end provided no final answers”. Un tentativo sicuramente degno di nota che è riuscito a creare un’idea di moda che è arrivata fino ai nostri giorni, ma che non è servito a risolvere, a mio parere, quella binarietà di genere dal punto di vista stilistico che vincola l’estetica di uomini e donne.

Infatti mi sento di affermare che quello che oggi associamo all’idea di unisex è privato di qualsiasi tipo di particolarità, svuotato di senso e reso asettico. È basico. E infatti molti elementi del basicwear (t-shirt, jeans, tute da ginnastica, etc.) rientrano alla perfezione nella categoria “unisex”. In questo tipo di copertura corporea l’identità resta silenziosa, e non penso affatto che sia la soluzione migliore per risolvere il problema che affligge gli stereotipi di genere.

Quello che chiamiamo “fenomeno genderless” è arrivato in un momento storico-culturale durante il quale la tematica legata alle identità di genere si sta facendo sempre più calda e attuale (come è poi successo con la nascita dell’unisex negli anni ’60, un pilastro del femminismo della seconda ondata che denunciava l’immutata subordinazione della donna all’uomo nonostante il riconoscimento della parità in ampi settori della vita sociale). Ma questa volta la denuncia ha preso una forma chiara ed evidente.
Come ho già sottolineato in altri momenti, credo che questo fenomeno riguardi in particolar modo l’abbigliamento maschile. È la donna che culturalmente può divertirsi con la moda, sbizzarrirsi fino all’eccesso senza rischiare di cadere nell’errore. L’uomo, invece, non può permettersi di scherzare, poiché soltanto un errore o uno sguardo giudizioso potrebbe portarlo ad un suicidio simbolico. Il guardaroba femminile, dunque, a più riprese ha incluso nel proprio bagaglio culturale e stilistico aspetti della moda maschile che sono diventati tradizionalmente anche capisaldi della rappresentazione vestimentaria della donna. L’inverso però non è mai accaduto. Come avevo spiegato in questo articolo questo momento storico sta vivendo una vera rivoluzione sul fronte della moda uomo. L’estetica, portavoce primaria dell’identità del soggetto, sta subendo una rivisitazione delle strutture grammaticali che vanno a definire la comunicazione del maschile nella società. E così facendo la moda, con la sua rivoluzione genderless, diventa una delle armi principali per mettere in discussione quello a cui nessuno ha mai osato puntare il dito contro.

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Penso che quest’ondata rivoluzionaria in moda prenda in considerazione molti più aspetti se messa a confronto con il movimento unisex. Se quest’ultimo si concentrava sulla costruzione e l’imposizione culturale dei generi maschile e femminile, la moda genderless apre molti più interrogativi, come lo spostamento verso definizioni più fluide del genere e della sessualità, la messa in dubbio delle aspettative corporee da parte della società, l’apertura ad altre culture, in particolar modo quella queer, e potrei andare avanti.

Se la moda unisex ci porta su un secondo livello dove le differenze vengono azzerate, svuotate, per creare un senso di uniformità sessuale, il fenomeno genderless ci riporta al piano terra, dove le persone sono reali, vive, e riprende in mano il concetto di genere, aprendolo a tanti meravigliosi significati che ci danno la possibilità di sviluppare il nostro senso estetico e conseguentemente la nostra identità. La moda agender/gender-neutral/genderless vuole sfidare quello che è il genere come categoria storico-culturale. Ma l’obiettivo di questo tête-à-tête non è il disfacimento della differenza sessuale, ovvero l’annullamento della differenza tra moda uomo e donna, ma l’arricchimento di questi due mondi meravigliosi. Togliere i paletti alla costruzione culturale dell’estetica maschile e femminile significherebbe dare la possibilità a qualsiasi individuo che non si rispecchia nella definizione binaria dell’abbigliamento, di avere un tipo ti rappresentazione possibile, e quindi un conseguente riconoscimento in un contesto societario.

L’iniziativa “UNGEDERED” di Zara, dunque, sembra essere soltanto una mossa approfittatrice di una tendenza mainstream che, invece, potrebbe dare tanto all’evoluzione stilistica del genere. Attribuire un tale significato, profondo e rivoluzionario, per vendere poi delle uniformi che annullano qualsiasi tipo di particolarità e svuotano gli individui di carattere, credo sia un’operazione pericolosa. Zara ci sta vendendo un’uniformità pacata e silente che confonde due termini provenienti forse da un background simile e con due missioni parallele, ma lontane tra loro.

Nulla contro l’unisex. Ma quello di cui abbiamo bisogno ora è genderless.

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  • a prescindere da come ci vestiamo siamo sempre uomini e donne. E il fatto che una persona si vesta in un modo statisticamente più frequente tra il suo genere non vuol dire che non è libero

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