Commentare la lista dei concorrenti del Festival di Sanremo è tradizione di ogni inizio anno, un po’ come l’iscrizione in palestra post-Epifania. E poi, ammettiamolo, quante volte leggendo la lista dei concorrenti abbiamo scosso la testa realizzando come quanto succede nel panorama musicale italiano e ciò che passa sulla prima rete nazionale nel mese di febbraio non siano propriamente del tutto sincronizzati?
Certo, negli ultimi anni ci sono state novità/tentativi di ammodernamento – che piaccia o meno – quali lo sbarco in Riviera di concorrenti provenienti dai Talent Show (che si stanno ritagliando sempre più un ruolo preponderante nella produzione di artisti del music business) o l’apertura alla kermesse a esponenti del panorama indi(e)pendente/alternativo. Riguardo questo punto, sorvoliamo sulla perversa dinamica tendenzialmente dissacrante che la scena attiva nei confronti degli alternative-indiers che osano concorrere: pacifico che Sanremo sia un business che poco ruota intorno alla musica e nulla ha a che fare con la morale o l’etica – tra parteciparvi e andare al Primavera Sound non c’è tantissima differenza. Certo, Barcellona è più esotica, e scandire il nome del suo Festival fa subito mojito in spiaggia.
Attesissimo, radicato nella nostra cultura, acclamato, disprezzato, commentato minuto per minuto, si fa davvero fatica a dribblarlo: in qualsiasi modo, si casca sempre sopra al Festival di Sanremo.
Quest’anno all’Ariston, oltre al minibus di concorrenti provenienti dai Talent Show (Alberto Urso, Anastasio, Elodie, Enrico Nigiotti, Giordana Angi e Riki) e a quello degli artisti conosciuti in larga scala, arriveranno nomi non proprio noti al grande pubblico: Bugo, Levante, Pinguini Tattici Nucleari (Rancore lo lascerei sul pianerottolo, essendo il suo un ritorno, e non una prima volta, in Liguria). Un numero estremamente ridotto, ma piutost che nient, l’è mei piutost, no? Assolutamente no. Ma si può sempre pigiare il pulsante rosso del telecomando.
Sfortunatamente, con un pulsante non si può invece disattivare il cervello quando ci si ritrova a contare le donne che parteciperanno al Festival, considerato l’esiguo numero in cui ci si imbatte.
E no, non stiamo parlando delle conduttrici, delle co-conduttrici, delle ospiti. Non stiamo nemmeno parlando dell’hype che genereranno i loro vestiti, le scollature, le cosce che sbucheranno dalle loro gonne e che avranno la corsia preferenziale su qualunque brano in gara. Non stiamo parlando neppure del fatto che sia sessista, abbacinante e vergognoso presentare una donna come “la fidanzata di”, meritevole di affiancare il presentatore di quello che è forse l’appuntamento mediatico più importante d’Italia in quanto “capace di stare vicino al compagno stando un passo indietro”. E men che meno è il caso di sottolineare lo sconforto che genera sentir ribadire che le donne presenti sul palco saranno ovviamente belle.
Parliamo invece del numero delle concorrenti presenti, di quelle artiste che saranno le rappresentanti della canzone italiana.
Sette, su venticinque. Irene Grandi, Levante, Elodie, Giordana Angi, Elettra Lamborghini, Rita Pavone, Tosca.
Lungi dal credere che si debbano scegliere i partecipanti di una rassegna canora basandosi sul genere e non sulla meritocrazia. Lungi dal voler sindacare sui giudizi di chi si occupa della selezione dei partecipanti. È semplicemente incredibile, nel senso del non essere credibile, che nel 2020 al Festival della Canzone Italiana non siano presenti più di sette concorrenti di genere femminile che possano rappresentare la musica Made in Italy.
Ma fortunatamente, come già si è detto, sappiamo essere ben evidente lo scollamento tra quanto succede nel panorama musicale italiano e ciò che passa sulla prima rete nazionale. Esistono le Laura Pausini, Elisa, Gianna Nannini, Patty Pravo, Carmen Consoli, Loredana Bertè, e tutte quelle artiste rinomate e pluripremiate che conosciamo e si conoscono anche fuori dai confini. Ed esiste un sottobosco di musiciste che non fanno parte del cosiddetto panorama mainstream (e che probabilmente non hanno l’interesse a partecipare a una manifestazione come quella sanremese) ma in cui possiamo fortunatamente imbatterci sui palchi dei circoli e delle realtà che offrono musica inedita dal vivo nelle nostre città.
Già, il primo modo di supportare la musica che non passa dai grandi circuiti, ancora prima di lamentarci che non sia sul palco di Sanremo quella che vorremmo, e più costruttivo di criticare chi partecipa alla kermesse, è quello di supportarla dal basso, frequentando i posti che abbiamo dietro casa. Quegli stessi spazi dai quali qualche anno fa è partita, per esempio, Levante, e nelle cui programmazioni vengono ospitati non solo musicisti, ma anche musiciste davvero brave in quello che fanno, che non arrivano dai Talent Show e macinano chilometri, collezionando date su date in giro per l’Italia (e non solo).
Cinque esempi – in rigoroso ordine alfabetico – di queste artiste che meritano spazio, per ognuna delle cinque serate del Festivàl. Da ascoltare non per fare una mini line-up controsanremese, ma al posto di stare incollati al televisore a sbuffare o sui social a dissentire.
Eccoli, o meglio eccole, qui:
Birthh, creatrice toscana di eteree atmosfere.
Lili Refrain, one woman band da Roma, sospesa tra teatro e psichedelia.
Mèsa, con la Sicilia e i Nirvana nel sangue, la chitarra a tracolla.
Verano, l’avanguardia che sa d’oltreoceano ma viene da Brescia.
Vespertina, perugina, cantautrice di un luttuoso romanticismo.
la bellezza è importante per uomini e donne, sono d’accordo col resto dell’articolo