Articolo di Pietro Balestra
Vorrei cominciare la recensione in modo un po’ anomalo: partendo dalla dedica.
Questa storia è puro frutto della mia fantasia.
Solo un episodio descritto è realmente accaduto, anche se in un luogo diverso. Quello
in cui una ragazza, una studentessa di sedici
anni, a una presentazione si alza e mi
domanda: Mi scusi, lei sa dirmi perché le donne
oggi si sentono così sole?
A lei, a quella giovane donne dedico questo
romanzo.
E a mia sorella, Cristina.
Smettila di camminarmi addosso – Claudia Priano – 2009
Sapete cosa la protagonista del romanzo, la portavoce dell’autrice Claudia Priano, risponde a suddetta ragazza?
Perché lo sono.
Smettila di camminarmi addosso – Claudia Priano – 2009 – p. 165
Smettila di camminarmi addosso non è un romanzo femminista nel senso stretto del termine: non parla di battaglie politiche. Parla di donne, di vite che s’intrecciano, di violenze e solitudine.
Edito da Ugo Guanda Editore nel 2009, ambientato tra Genova e Pavia, il romanzo racconta di Margherita Malinverni, scrittrice di professione. Dopo essere stata dimessa dall’ospedale nel quale era stata ricoverata per un esaurimento nervoso, Margherita va a convivere col compagno Sergio, giornalista e corrispondente di guerra.
La protagonista sta quindi attraversando un momento di difficoltà, ma il suo uomo non ha tempo per prendersi cura di lei: parte per lavoro verso il Medio Oriente, delegando lei di scegliere l’appartamento che più le piace e gestire il trasloco.
Dal dialogo tra Margherita e l’agente immobiliare, nelle prime pagine emerge subito come la solitudine delle donne sia la costante di tutta la storia:
Allora Margherita?
Va bene. Prendiamo questa.
Antonio mi fissava incredulo.
Nessuna perplessità?
Nessuna.
Temo di non capire. Abbiamo visto decine di case migliori di questa. E allora perché?
Perché questa è l’unica che abbiamo visto entrambi. Sergio e io, intendo.
Smettila di camminarmi addosso – Claudia Priano – 2009 – p. 25
Nel vuoto e nel silenzio della nuova abitazione, ella comincia a prestare attenzione alle voci e ai rumori dell’appartamento affianco. Viene così a scoprire l’inquietante e dolorosa realtà della sua vicina Anna Armandi, madre di due figli, vittima di un marito violento e di una madre tiranna. Margherita decide di adoperarsi per aiutare la donna a uscire dalla sua paralisi, ma le urla, i pianti e le suppliche della malcapitata, dietro quella parete troppo sottile, le riportano alla mente ricordi di un passato grigio e lontano col quale dovrà decidersi a chiudere i conti.
C’è Margherita, mentalmente instabile, sentimentalmente legata a un uomo che, a causa del suo lavoro, non può dedicarle il tempo di cui lei avrebbe bisogno. C’è Anna, che fa riemergere nella mente della protagonista ricordi delle donne del suo passato: sua madre e sua cugina Irene. C’è la madre di Anna, che, da moglie, aveva imparato a “stare al suo posto” ed è proprio questo che, arroccata nei suoi ideali religiosi e sociali, vuole imporre alla figlia. Ci sono poi tutte le donne che, silenti, affollano il supermercato, talvolta coi figli al seguito. Tra di esse, risalta la donna grassa, l’ex tuffatrice olimpionica Erminia Bassi, che si aggira tra gli scaffali col viso corrucciato, senza rivolgere (e lasciarsi rivolgere) parola a (da) alcuno. Infine c’è Anita Pomodoro, una vecchietta tutta pepe che in questa storia ricopre il ruolo di guida e barlume di speranza, anch’ella vicina di casa di Margherita.
Il romanzo è narrato in prima persona ed è diviso in due parti.
La prima comincia con l’impasse e si conclude con una presa di coscienza, una di quelle che ti pongono di fronte a un bivio: la fuga o la lotta. Sarà un tragico evento, una delle peggiori conseguenze della solitudine delle donne, a mostrare a Margherita e Anna l’orrore della prima via e a spingerle invece nell’altra direzione: questo episodio di grande carica emotiva e tensione porterà al crollo di tutte le certezze, al lento svelarsi si una verità scomoda.
Segue, nella seconda parte, la battaglia per affermare sé stesse: le protagoniste intraprendono quindi un percorso, nel quale (dialetticamente) dovranno diventare altro da sé per uscire dalla propria paralisi e affermarsi in quanto persone.
In quanto donne.