Articolo di Alessandra Vescio
Non sono un’assidua lettrice di graphic novel, devo ammetterlo, e soprattutto non credo di saperli apprezzare: divoro i dialoghi, sbircio il tratto, giro pagina spesso troppo velocemente per la curiosità di sapere come va a finire, rischiando così di perdere per strada tutto quello che ogni tavola potrebbe e vorrebbe comunicarmi.
Amo però le storie, lette e raccontate, in cui l’intensità genera immedesimazione; quelle che ti restano dentro a lungo e che ti fanno riflettere ed emozionare. Perciò non sono la persona giusta per spiegarvi le tecniche e il disegno con cui Craig Thompson racconta (e si racconta) in Blankets, ma posso dirvi perché questa autobiografia sotto forma di fumetto mi ha colpito al punto tale da volerne parlare.

Pubblicato negli Stati Uniti nel 2003 ed in Italia, prima nel 2004 da Coconino Press, e poi nel 2010 da Rizzoli Lizard, Blankets è stato subito accolto con entusiasmo.
Definito come «un grande romanzo americano» dal critico Andrew D. Arnold sul Time, Blankets è un romanzo di formazione in cui l’autore ci racconta il suo passaggio all’età adulta attraverso dubbi esistenziali e flashback significativi. I temi centrali della storia sono la religione, la famiglia e il primo amore, e ad ognuno di essi si intrecciano le emozioni e le vicende che il giovane Craig spesso ha difficoltà a decifrare.
Nato e cresciuto in un piccolo paesino del Wisconsin, in una famiglia cristiana fondamentalista con una madre intransigente e un padre autoritario, Craig divide la sua stanza e il suo letto col fratello più piccolo, Phil.
A scuola è vittima di bullismo e a casa non si sente libero di esprimere ciò che prova, ritrovandosi a oscillare tra sensi di colpa e voglia di evadere dalla realtà. Il senso di colpa è ciò che lo accompagna per tutta l’infanzia e l’adolescenza: lo prova quando il padre obbliga Phil a dormire nel buio e minuscolo sgabuzzino dopo un litigio tra i fratelli; quando non reagisce in seguito alle molestie che entrambi i bambini subiscono da parte del babysitter; quando si innamora per la prima volta e inizia a sentire le prime pulsioni sessuali.
Durante un campo invernale organizzato dalla parrocchia, infatti, Craig conosce Raina, una giovane ragazza del Michigan, di cui si innamora all’istante. Timidi e riservati, i due iniziano a scriversi fino a quando Raina non invita Craig ad andare a trovarla e a stare con lei e la sua famiglia per due settimane. Così la parabola del primo amore è raccontata nel suo compimento delicato e struggente: nell’arco di due settimane infatti la storia tra Craig e Raina cresce ed evolve, si inceppa e riparte. I dubbi, le attese, le aspettative, il romanticismo e la voglia di totalità si mescolano per dar vita a una storia d’amore delicata e piena di speranze.

In ogni pagina e in ogni aneddoto, emerge con evidenza il disagio che Craig prova nei confronti della sua enorme sensibilità e quel senso di estraneità che lo fa sentire un escluso tanto in casa quanto a scuola. Solo con Raina sembra riuscire a colmare il vuoto che sente dentro di sé, ma solo fino a quando altre persone non intervengono in quell’idillio.
Segnato da un profondo conflitto interiore tra ciò che sente di essere e ciò che gli dicono di dover diventare, Craig lotta continuamente tra desideri e doveri, propendendo sempre verso ciò che gli altri ritengono giusto e vergognandosi, perciò, dei suoi pensieri e sentimenti. La sua voglia di amare è condizionata dal timore della sessualità; l’affetto per il fratello è limitato dall’incapacità di comunicare la propria interiorità; la passione per l’arte e per il disegno è ostacolata dall’immaginario comune che sia una perdita di tempo da dedicare, invece, a Dio oltre che da quel percorso di studi che la sua comunità gli presenta come causa di depravazione e dunque di omosessualità.

L’io interiore di Craig non è mai quieto: urla più di quanto faccia Craig, scalcia e si ribella, si chiede come fare a dimenticare e a bruciare i ricordi e i desideri. Si sente in colpa e non riesce a perdonarsi. Immagina, teme e si pone delle domande. Si racconta in un disegno in cui i fatti reali si alternano a un immaginario onirico, i dialoghi ai ricordi, e le parole lasciano spesso spazio a silenzi reali, percettibili e immensi.
E poi c’è la neve. La neve come protagonista, che avvolge, invita e ostacola allo stesso tempo. La neve che copre tutto come calde coperte. Le coperte del titolo infatti sono quelle che Craig divide col fratello durante le fredde notti invernali, quando erano troppo poveri per permettersi una stanza per ciascuno; è quella che Raina, con amore e dedizione, realizza per il suo amore; è il manto innevato che ricopre, invade, ma lascia anche scoprire:
«Che soddisfazione lasciare un’impronta sulla superficie bianca. Disegnare una mappa dei miei movimenti… anche se solo per poco», dice Craig.
È un percorso lungo e impervio quello che Craig fa alla ricerca di sé. Raccontato con una malinconia dolce e delicata ma mai patetica, il cammino del protagonista è infatti una lotta continua tra stereotipi, imposizioni asfissianti e il desiderio di andare via, affermare il proprio io e sentirsi finalmente libero di essere. Aggraziato, sensibile e commovente, Blankets «è così bello che fa male».
A qualunque età.