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“Guarire dall’omosessualità”: le cliniche dell’orrore in Ecuador

“Guarire dall’omosessualità”: le cliniche dell’orrore in Ecuador

Percosse, frustate, alimentazione forzata, somministrazione coatta di farmaci, violenze collettive.

Sono solo alcuni dei “trattamenti” messi in atto per la cura dell’omosessualità e della transessualità nelle oltre duecento cliniche dell’orrore in Ecuador.
Dietro la facciata di strutture per il trattamento di alcolismo e tossicodipendenza si cela la raccapricciante verità delle “terapie di conversione” attuate su persone omosessuali e transessuali, disponibili per appena qualche centinaio di dollari aggiuntivi.
È stata la fotografa Paola Paredes a mostrare al mondo questa realtà attraverso il suo progetto fotografico Untilyouchange (finché non cambi).

[ngg_images source=”galleries” container_ids=”59″ display_type=”photocrati-nextgen_basic_thumbnails” override_thumbnail_settings=”0″ thumbnail_width=”120″ thumbnail_height=”90″ thumbnail_crop=”1″ images_per_page=”14″ number_of_columns=”0″ ajax_pagination=”0″ show_all_in_lightbox=”0″ use_imagebrowser_effect=”0″ show_slideshow_link=”0″ slideshow_link_text=”[Show slideshow]” order_by=”sortorder” order_direction=”ASC” returns=”included” maximum_entity_count=”500″] Nella serie realizzata, la fotografa, che si è resa protagonista degli scatti, riproduce fedelmente le testimonianze riportate dalle numerose vittime che ha incontrato e intervistato. Ad esse aggiunge ciò che ha potuto personalmente vedere.
Infatti, data l’estrema riservatezza adottata da queste strutture e l’impossibilità di effettuare riprese, con l’aiuto dei suoi genitori si è finta possibile paziente di uno di questi centri.
Munita di microfono nascosto ha registrato le informazioni fornitele dai responsabili e ha potuto constatare lo stato in cui versano le donne rinchiuse lì dentro.


Ha visto le pazienti obbligate fin dal risveglio a truccarsi, a portare gonne e tacchi per “imparare ad essere vere donne”, costrette a studiare la Bibbia per ore e ore, impegnate costantemente nei lavori di pulizia dei centri, impossibilitate a passare del tempo da sole – eccezion fatta per i sette minuti consentiti per la doccia.

 

Queste pratiche traumatiche ed alienanti sono solo la punta dell’iceberg, come affiora dai racconti delle ex-pazienti che hanno scelto di restare anonime per salvaguardare la propria sicurezza.

Si parla dei violenti pestaggi, della musica religiosa sparata a tutto volume nella notte per mascherare le grida delle ragazze torturate, dell’obbligo di bere un misterioso liquido del quale non si conosce la composizione, dei lunghi periodi di costrizione a letto con le corde e dei prolungati bagni nel ghiaccio, delle pillole spacciate per vitamine ma dai devastanti effetti sul sonno e la memoria, degli stupri “correttivi” messi in atto dai dipendenti dei centri.


Eccolo qui l’orrore svelato da Untilyouchange; una barbarie istituzionalizzata.
La stessa fotografa è omosessuale e nella presentazione del progetto afferma:

«Se la mia famiglia non mi avesse accettata quando ho fatto coming out forse sarei stata rinchiusa anch’io in una di queste strutture. Questa dolorosa consapevolezza mi ha spinta a voler impersonare gli scatti, incorporando le mie emozioni per esplorare l’abuso di queste donne negli istituti».

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Grazie anche a questa profonda immedesimazione, dalle immagini emerge tutta la violenza, fisica e psicologica, cui le persone internate vengono sottoposte.

Chi si sottopone a queste torture non lo fa di propria spontanea volontà, spesso viene condotto nelle strutture su insistenza delle famiglie che non ne accettano l’orientamento sessuale; perché nonostante l’omosessualità sia legale in Ecuador dal 1997, lo stigma sociale è ancora forte.

È bene non dimenticare mai che, fino al 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso l’omosessualità nell’elenco delle malattie mentali. Essendo ritenuta all’epoca una malattia psichiatrica le “cure” prevedevano elettroshock, castrazione e lobotomia.
Paola Paredes ci tiene a sottolineare che tutto questo non sta accadendo solo in Ecuador, è un problema globale. Accade in Messico, in Colombia, anche in Europa e negli Stati Uniti.
Il fatto di non essere a conoscenza di determinate realtà non significa, purtroppo, che non esistano.
Molto spesso, come accade in Ecuador, queste strutture fanno parte di una rete gigantesca che coinvolge molti poteri forti, una mafia quasi impossibile da spezzare.
Qual è quindi la soluzione? Come si può reagire contro l’orrore?
È una giovane fotografa ecuadoriana a dirlo, supportata dalla potenza del suo lavoro:

«L’unica cosa che possiamo fare è educare le persone, insegnare l’accettazione e la tolleranza. E l’unica cosa che posso fare con le mie immagini è creare consapevolezza.»

Fonti:
Paola Paredes
TPI
Huck Magazine
Feature Shoot
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