In questo articolo, La violenza sugli uomini: un problema invisibile, abbiamo parlato della parte sommersa del problema sociale della violenza sugli uomini: la parte che non si vede, che si dovrebbe studiare con strumenti che però non sono a disposizione di tuttə, che è difficile far accettare perché va contro pregiudizi, luoghi comuni e condizionamenti nel giudizio di sé che gli uomini non vogliono ammettere di avere. Non esiste però solo questa parte dell’iceberg. Questa, sotto il pelo dell’acqua, è quella più dannosa, quella che fa affondare le navi. Esiste anche una parte visibile, molto più spesso oggetto di discussioni, che viene scambiata per la parte più importante del problema mentre invece è solo il poco che si vede dell’enorme montagna che sta sotto. Questo poco, però, fa molto parlare di sé.
Il primo fenomeno del quale gli uomini vorrebbero parlare – e, in effetti, lo fanno – è quello che credono simmetricamente opposto alla violenza di genere sulle donne: cioè il fatto che anche le donne picchiano, anche le donne ricattano, anche le donne fanno violenza al compagno, al marito, all’ex. E nessunə lo ha mai negato. Ma è un problema simmetrico alla violenza contro le donne? Si tratta della stessa violenza agita a parti invertite oppure si tratta di altro?
Innanzitutto, la violenza delle donne sugli uomini non è un problema sociale analogo a quello della violenza degli uomini sulle donne: le donne che agiscono violenza al compagno, al marito, all’ex, non la agiscono a loro in quanto uomini ma in quanto, appunto, compagno marito o ex. Cioè, nella stragrande maggioranza dei casi registrati non c’è un movente culturale verso un intero genere, verso un ruolo sociale, verso una figura che non corrisponde ai propri desideri: la violenza è mirata al solo “uomo” coinvolto, e non c’è alcuna costruzione culturale a supporto di quell’azione violenta – come invece nel caso della violenza di genere contro le donne. Sebbene i racconti di mogli iraconde abbondino nella tradizione – l’unica cosa che viene ricordata della proverbiale Santippe è il suo gesto violento verso il marito Socrate – gli uomini non hanno mai pensato di essere minacciati, soggiogati, costantemente umiliati e condizionati per il proprio genere, perché così non è.
La violenza sugli uomini da parte delle donne non è un problema sociale anche nei numeri. Se l’unica cosa prodotta fino a questo punto è la risibile e ormai “mitica” ricerca di Macrì dell’Università di Siena, smentita facilmente nelle premesse e nel metodo, è segno che c’è poco da fare: il problema sociale non sono le donne che fanno violenza ai compagni, mariti o ex, ma quelle istituzioni che dovrebbero raccogliere le giuste esigenze di questi soggetti e che invece si mostrano incapaci di agire. Le leggi ci sono e sono chiare: perché un uomo che va a denunciare le violenze subite da una donna non viene creduto, viene ridicolizzato, non viene preso sul serio? Perché i tribunali sembrano propensi in talune specifiche circostanze a decidere in favore delle donne? Colpa delle femministe o di una mentalità patriarcale che etichetta lui come sfigato perché non sa farsi valere e lei come madre e regina della casa? Se questo è il problema sociale, allora va detto chiaramente: tanti femminismi lo hanno già denunciato, dimostrato, documentato e combattuto da svariati decenni. Sarebbe il caso che tanti uomini capissero finalmente chi è il loro vero nemico sociale.
Un altro tipo di violenza sugli uomini di cui si parla molto senza capirne granché, anzi spesso non riuscendo neanche a nominarla correttamente sui media, è la violenza contro uomini transgender. Il fatto di cronaca, ancora pruriginoso e oggetto di morboso interesse, viene sbandierato con dovizia di particolari tanto numerosi quanto è ampia l’indifferenza verso da dove venga quella violenza. Della transfobia come ingrediente necessario per la tradizionale educazione maschile abbiamo già parlato nell’articolo citato all’inizio; aggiungiamoci la seconda ulteriore violenza di non rispettare un vissuto e di schiacciare tutti gli eventi di violenza verso un gretto essenzialismo che chiama le persone a seconda dei genitali che hanno e non a seconda dell’identità che sono. Indovina un po’ chi ha sempre parlato anche di questo problema, che è sociale perché la transfobia è molto più diffusa delle donne che maltrattano i compagni, mariti, ex?
Fa parte di questa visibile e spettacolare parte del problema sociale della violenza sugli uomini anche la ridda di commenti insulsi e fuorvianti che si raccolgono non appena si cerca di fare luce seriamente sul problema. Davanti ad analisi stringenti che vedono nella stessa costruzione dell’identità maschile tradizionale il nocciolo del problema per gli uomini, sono soprattutto due le mistificazioni, i discorsi inquinanti che prendono molto spazio, sui media e sui social, impedendo una sensata discussione del problema.
Il primo discorso inquinante è quello delle poverine. Non manca mai il classico uomo risentito che scambia le argomentazioni sostenute da studi e ricerche per una generica giustificazione della violenza delle donne sugli uomini, compagni, ex e altri, come se una critica che porta alla luce il ruolo perverso del patriarcato fosse il modo per discolpare qualcuna. Non è scientificamente rilevante, e nemmeno socialmente sensato, portare alla luce una eventuale giustificazione della violenza subita dagli uomini e compiuta dalle donne: quello che è abbondantemente raccontato, studiato, analizzato e comprovato è che si tratta nella maggior parte dei casi di una reazione. Che questa reazione l’abbia subita Giovanni, Marco o Paolo è certamente importante per il vissuto di Giovanni, Marco o Paolo, che hanno tutto il diritto di ottenere giustizia per ciò che hanno eventualmente subito. Rimane il fatto che quello che hanno subito non è, nella maggior parte dei casi, una violenza rivolta da un sistema culturale che vuole gli uomini inferiori, soggiogati e costretti in esistenze non libere e prive di tante possibilità. Non esiste alcuna simmetria nella violenza di genere: essa si allinea al sistema di potere vigente, che è patriarcale.
Il secondo ma forse più “classico” discorso inquinante, molto presente, è quello nel quale qualsiasi studio o ragionamento sulla costruzione della violenza subita dagli uomini, sulla loro identità di genere e su come essa subisca comunque pesanti ingerenze da parte del potere patriarcale, venga giudicato come “la giustificazione degli stupratori”. Spiegare un fenomeno sociale non significa giustificarlo, significa lavorare alle condizioni che lo causano per cercare di non farlo succedere più. L’inefficacia delle misure repressive successive agli episodi di violenza è talmente evidente da non necessitare di alcuna dimostrazione scientifica: prigione, espropri, castrazione chimica, neanche innumerevoli vendette e faide private hanno mai fermato la violenza sistemica del patriarcato. Quello che serve è rendere il più possibile coscienti e responsabili tuttə del distorto sistema culturale nel quale si sviluppa la nostra società e della dispari gerarchia di potere che ne sorregge tante manifestazioni.
Credo che sia realizzabile (studiando, ricercando e divulgando) una società che insegni, a tutte le età e in ogni occasione, a riconoscere i propri condizionamenti e privilegi di genere in modo da fornire gli strumenti necessari a liberarsene. Utopia? Forse, ma di certo molto più sensata che sperare di veder finire i femminicidi, gli stupri, le violenze e le molestie agendo sempre e solo dopo che accadono. Il supporto e la giustizia non possono niente contro una cultura patriarcale che ha secoli di storia alle spalle. Serve cambiare parole, gesti, simboli – serve cambiare la cultura che insegna la violenza di genere.