Che da te risorgo anch’io
Levante
Il 25 novembre di ogni anno si celebra la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne e le bambine, una giornata dedicata a fare luce su un problema che ci riguarda tutte (e tutt*). La giornata di oggi è stata designata ufficialmente dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite come “Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne” nel 2000, ma già dagli anni ’80 le attiviste per i diritti delle donne associavano questa giornata alla lotta contro la violenza. Il 25 novembre era infatti stata scelta come data per commemorare l’omicidio delle sorelle Mirabal, tre giovani attiviste che si ribellavano alla dittatura del loro Paese, la Repubblica Dominicana. Quel giorno di fine novembre del 1960 furono seguite e uccise mentre stavano andando in carcere in visita ai rispettivi mariti, i loro corpi poi rimessi in macchina per simulare un incidente stradale.
Oggi si ricorda la vicenda di queste tre sorelle, che non sono rimaste indifferenti di fronte all’ingiustizia, e quello che rappresentano. La storia è piena dei racconti di donne che si sono ribellate, donne dimenticate, donne uccise, donne che hanno subito violenza, donne che hanno lottato contro il patriarcato e per la loro autodeterminazione. Ma non è necessario andare a riaprire i libri di storia (anche perché spesso neanche vengono citate queste donne…) per trovarne degli esempi: basta guardarsi intorno. Oggi stesso ci sono donne che vivono in contesti di violenza domestica, donne che lottano per il controllo sul proprio corpo, donne e bambine che si portano dietro traumi legati a molestie, stupri e violenza assistita. La violenza di genere resta un tema attuale e a tratti difficile da individuare con chiarezza, viste le molteplici facce che può assumere. Come ci mostra la storia delle sorelle Mirabal, la violenza contro le donne e le bambine è un contenitore estremamente vasto di violenze che hanno però tutte la stessa radice: l’idea che le donne siano inferiori agli uomini.
Quando si parla di violenza contro le donne si pensa immediatamente alla violenza fisica, alla violenza sessuale, alla violenza domestica e ai femminicidi. Tutti questi comportamenti sono la punta dell’iceberg, le conseguenze “estreme” del patriarcato sulla vita delle donne e delle bambine. Ma pur essendo fenomeni estremi non sono affatto rari, scandiscono infatti le giornate di molte donne che non conoscono una vita libera dalla violenza. La pandemia di COVID-19 ha poi inasprito circostanze già difficoltose e rischia di farci fare dei passi indietro sul fronte della parità, anteponendo a priorità fissate prima della crisi sanitaria questioni più urgenti nell’immediato. Questioni che sono semplicemente più visibili, e quindi sembrano più pressanti e assolute, ma che non dovrebbero prendere il posto di annose problematiche come la violenza di genere. È necessario più che mai ricordare l’importanza di combattere la violenza contro le donne e ribadire a più voci come una società priva di questa macroproblematica sia una società migliore per tutte le persone, non solo per le donne.
Uno dei modi con cui è possibile rendere visibili fenomeni sommersi è la ricerca e la pubblicazione di dati. E proprio circa i dati disponibili sulla violenza contro le donne vale la pena riflettere, facendo un breve punto della situazione.
L’European Institute for Gender Equality (EIGE) ha pubblicato venerdì 29 ottobre il Gender Equality Index, una relazione che presenta lo stato della parità di genere nell’UE e negli Stati membri tramite un’ampia serie di dati. Questi sono suddivisi per settori: dalla rappresentanza femminile alla disparità salariale, dalla segregazione professionale alla partecipazione al potere decisionale. Ci sono moltissimi indicatori preziosi che ci dicono quello che sta succedendo e in che direzione stiamo andando (buona notizia: l’Italia figura fra i Paesi che ha fatto più passi avanti dal 2010), eppure a mancare è proprio il dato sulla violenza. Il Gender Equality Index 2020 non riporta dati sulla violenza di genere perché l’Eurostat (l’agenzia europea di statistica) e l’EIGE stanno conducendo delle indagini specifiche che porteranno a una pubblicazione dedicata, e a un aggiornamento dell’Index, solamente nei prossimi anni. Nonostante ci sia piena trasparenza dietro la mancanza di questo dato, la sua assenza potrebbe portare ad avere una visione complessiva più rosea del reale. La mancanza di questo dato dovrebbe parlare da sé, e parlare nello specifico della difficoltà di raccogliere dati sulla violenza contro le donne.
Spesso infatti i dati sulla violenza contro le donne non sono esaustivi o aggiornati e finiscono per indicare soltanto la parte emersa di un fenomeno ben più grande. I dati non mancano per incompetenza dei servizi addetti, ma spesso perché non c’è interesse a raccoglierli, o perché non vengono stanziati i fondi per farlo. O perché le donne non denunciano (del perché molte donne non denuncino avevamo parlato in dettaglio qui). Ci sono intrinseche difficoltà ad ottenere dati completi soprattutto quando il contesto di violenza è ancora in atto, quando gli episodi di violenza non vengono denunciati, quando c’è stigma e victim-blaming nei confronti di chi subisce violenza o quando lo stesso atto di denunciare potrebbe accrescere il pericolo di violenza.
Vale inoltre la pena ricordare che la violenza ha bisogno di un sistema che permetta e faciliti determinati meccanismi, in questo caso il sistema patriarcale. Così come la violenza che più vediamo e che più ci colpisce è solo la punta visibile dell’iceberg, allo stesso modo esistono tutta una serie di comportamenti sommersi che ne permettono la prosecuzione. Dalle molestie al sessismo benevolo, da un uso sessista e non inclusivo della lingua a una rappresentazione sessista nei media, dalla manipolazione psicologica al victim-blaming: una miriade di comportamenti interiorizzati e normalizzati spianano quotidianamente la strada alla violenza sessista. È impossibile non tornare a ribadire l’urgenza di agire su più fronti per una prevenzione efficace, prevenzione che deve passare inevitabilmente per la consapevolezza e l’accettazione del problema. Impossibile come, specialmente per le addette ai lavori, non vedere la lacerazione e il dolore provocato dalla violenza di genere e sapere quanto ci sia bisogno di tutelare le vittime: soprattutto adesso, con le difficoltà aggiuntive causate dalle restrizioni in seguito all’emergenza epidemiologica, i centri antiviolenza che svolgono un lavoro assistenziale inestimabile. La prevenzione e la tutela devono quindi avvenire parallelamente, per creare nuove generazioni più consapevoli e non lasciare sole le donne che oggi pagano il prezzo di una società profondamente patriarcale e sessista che le tratta come oggetti, come uteri, come proprietà.
In questo 25 novembre vogliamo citare alcune iniziative che è possibile seguire, sostenere e condividere per accrescere la consapevolezza sul tema:
La campagna UNite delle Nazioni Unite organizza ogni anno, in corrispondenza del 25 novembre, sedici giorni di attivismo che si protraggono fino al 10 dicembre (Human Rights Day) per fare luce sul fenomeno. Il motto della campagna è “Orange the world”, e prende l’arancione come colore simbolo di questa iniziativa che ogni anno sceglie un focus specifico.
Un’iniziativa italiana è invece Posto Occupato, che nasce con l’obiettivo di sensibilizzare sul femminicidio e sul vuoto che lasciano le donne uccise per mano del proprio compagno, marito, fidanzato o parente. Consiste nell’occupare simbolicamente una sedia con un oggetto rosso e una locandina che recita:
“Posto occupato è un gesto concreto dedicato a tutte le donne vittime di violenza. Ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un ex, un amante, uno sconosciuto decidesse di porre fine alla sua vita, occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana, nella società. Questo posto vogliamo riservarlo a loro, affinché la quotidianità non lo sommerga.”
In passato, quando potevamo vivere una normalità diversa da quella attuale, anche io ho occupato fisicamente una sedia con queste parole. Oggi vorrei occuparlo virtualmente, un posto, per tutte quelle donne che non ci sono più. Per le sorelle Mirabal e per l’ultimo femminicidio di cui si è parlato al telegiornale. Per tutte quelle donne per cui un uomo si è arrogato il diritto di decidere: decidere per il loro corpo, privarle della loro vita. Perché credevano di possederle, perché credevano che la loro esistenza non valesse abbastanza, perché gli era stato fatto credere di poterlo fare.
Per ogni uomo che ha ammazzato una donna, c’è un posto occupato in meno in questo mondo. È nostro dovere ricordarle tutte.