Articolo di Alessandra Vescio e Biancamaria Furci
Il libro di marzo di Sinossy è “Parità in pillole”, di Irene Facheris, edito da Rizzoli. Con lei abbiamo parlato di com’è nata l’idea di questo saggio, ma anche di cosa sia il privilegio e di come riconoscere e combattere una discriminazione.
Venerdì 27 marzo parleremo tutt* insieme di “Parità in pillole” sul nostro account Instagram: intanto, godiamoci questa intervista!
Com’è nata l’idea di “Parità in pillole”, la rubrica che hai aperto quattro anni fa su Youtube, e come si è trasformata poi nel libro che leggiamo oggi?
Quando è nata l’idea di “Parità in Pillole”, Bossy esisteva già da 2 anni. Mi stavo abituando a parlare di certi argomenti su questo sito e i miei interessi si stavano spostando sempre più verso il femminismo e la parità. Su YouTube, invece, il mio canale era rimasto indietro. Non c’era armonia tra i miei social e i miei video non rispecchiavano più me, le mie battaglie, i miei ideali. Così ho deciso di sterzare. Ho deciso che avrei provato a raccontare questi temi usando la piattaforma che mi aveva avvicinata a un pubblico giovane e che lo avrei fatto intrattenendo. Il resto è storia: 4 anni, 150 puntate. Molti mi hanno seguita dall’inizio, ma qualcuno si è aggiunto in corsa o magari proprio verso la fine e fare un binge watching di una rubrica così lunga non è una cosa semplice. Da qui l’idea del libro, per permettere a tutti di riflettere su questi temi, anche offline e con i propri tempi.
Come riesci a rendere accessibili concetti complessi?
Con un’adeguata preparazione. Sicuramente un po’ sarà carattere: tendo da sempre ad andare dritta al punto (ragion per cui non scriverò mai un romanzo, finirebbe dopo 3 pagine), ma è soprattutto parte del mio lavoro di formatrice sapere come fare per rendere efficace una comunicazione. Significa che è una competenza che si può imparare, un muscolo che si può allenare.
Cosa vuol dire per te essere femminista oggi?
Vuol dire rompere le scatole anche quando non se ne ha voglia. Vuol dire ricordarsi che si può fare la differenza, nel nostro piccolo. Vuol dire togliersi le fette di salame sugli occhi che ci impediscono di vedere le tante discriminazioni che ancora esistono. Vuol dire fare fatica, stare antipatica, fare altra fatica, stare ancora più antipatica. Vuol dire credere che il mondo possa essere migliore e che questo miglioramento non possa che partire da noi (sì, sto parafrasando Brunori Sas). Vuol dire battersi affinché il femminile non venga più considerato inferiore.
Qual è il concetto legato al femminismo e alla parità che, nella tua esperienza di formatrice, hai trovato più difficile da far comprendere?
Il concetto di privilegio è abbastanza complesso, proprio perché spesso le persone pensano che avere un privilegio significhi avere una vita perfetta, e invece non è assolutamente detto che sia così, anzi. E poi è molto complesso parlare di molestie e della differenza tra intenzione ed effetto prodotto, ragion per cui ho voluto dedicare un intero capitolo del libro alla questione.
Cosa significa essere consapevoli dei propri privilegi? E in che modo questi possono essere utilizzati per aiutare il prossimo?
Significa riconoscere che, sebbene la nostra situazione personale possa non essere rosea (o addirittura possa essere tragica), abbiamo comunque sempre il potere di migliorare anche di pochissimo la situazione di un altro essere umano. Mai come in questo periodo, dove ad esempio ci intimano di stare a casa, ho dovuto ricordarmi di avere il privilegio enorme di avere una casa. È brutto stare da sola, non poter vedere le persone che amo… Ma ogni sera mi addormento nel mio letto, ogni mattina mi sveglio in una casa riscaldata. È un privilegio enorme. E voglio usarlo per dare visibilità a chi questi privilegi non li ha, voglio prestare la mia voce a chi non viene ascoltato.
La normalizzazione delle discriminazioni rischia di farci essere ciechi davanti alle situazioni che meriterebbero invece attenzione. Come si può sviluppare la capacità di vedere la discriminazione, di individuarla immediatamente? Perché dici che ogni discriminazione è necessariamente interconnessa ad altre discriminazioni?
Il modo più rapido per vedere una discriminazione è quello di ascoltare le storie degli altri, ascoltarle davvero, cercando di lasciare fuori i pregiudizi. Spesso non vediamo le discriminazioni che non ci riguardano, quindi l’unica soluzione è guardare con più attenzione gli altri e credere alle loro parole. Le discriminazioni sono interconnesse perché la realtà è complessa. Una donna subisce sessismo, una donna nera subisce sessismo e razzismo. E forse io, donna bianca, posso aiutare la mia sorella nera sul fronte del razzismo, dato che ho il privilegio di non subirlo.
Il tuo lavoro di formatrice ti porta a studiare, costantemente. Hai dei consigli per chi si approccia al mondo del femminismo intersezionale o vuole imparare di più?
Non prescindere dallo studio. Va benissimo guardarsi i video su YouTube e va benissimo anche cominciare da un libro come il mio, ma nulla sostituisce lo studio. Per poter parlare di un certo argomento, per comprenderlo davvero, bisogna studiarlo. Createvi un bel bagaglio di cultura, prendetevi il vostro tempo e soprattutto confrontatevi con altr* che stanno facendo il vostro stesso percorso.
Quali pensi siano i temi portanti che caratterizzeranno il mondo del domani, quelli su cui tutt* saremo chiamat* a prendere posizione?
Razzismo, omofobia, sessismo, ecosostenibilità, classismo, abilismo, corpi non conformi… Non ci basterà il tempo!
Che lavoro sognavi di fare da piccola? Pensi che l’Irene bambina sarebbe fiera di te oggi?
Questa me la raccontano sempre i miei genitori. Quando mi hanno chiesto che lavori volessi fare da grande io ho risposto “o il medico o la psicologa” e loro, confusi perché convinti che non ci fosse un nesso tra le due professioni, mi hanno chiesto: “Perché?”. “Perché voglio aiutare gli altri”, è stata la mia risposta. Non sono diventata né un medico né una psicologa, ma spero di stare aiutando gli altri comunque. L’Irene bambina sarebbe fierissima di me, è l’Irene adulta che ha qualche problema a riconoscersi i meriti. Ci sto lavorando.