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Passi falsi e ispirazione queer: intervista a Nicola Lombardo (+ video in anteprima)
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Passi falsi e ispirazione queer: intervista a Nicola Lombardo (+ video in anteprima)

Nicola Lombardo è giovanissimo, è originario di Pizzighettone e ha iniziato a scrivere le sue prime canzoni quando ancora era uno scolaretto: è allora che fa un primo passo verso il mondo della musica, dove entrerà qualche anno dopo con la partecipazione ai concorsi canori e lo studio del pianoforte al liceo.

Influenzato da sonorità internazionali, il suo primo disco autoprodotto, “My Blue Side”, esce nel 2014, scritto quasi totalmente in inglese e registrato in presa diretta, voce e pianoforte.

Lo scorso 5 aprile ha pubblicato per Bianca Dischi il suo primo album ufficiale, “Bosco”, un viaggio di undici tracce sospese tra indie e synth-pop – chiaramente ispirate all’era Body Talk di Robyn – che ripercorrono la delicata fase della post adolescenza attraverso le tematiche della precarietà, dell’amore e della consapevolezza di sé.

Oggi vi presentiamo in anteprima il video del suo ultimo singolo, “La danza dei passi falsi”, quarto estratto da “Bosco”, co-prodotto da Nicola, PLASTICA e Roberto Macis.

Si tratta di una canzone che parla di situazioni di stallo, a metà; di quelle relazioni a distanza che per mille ragioni non possono decollare o non sono decollate come avrebbero dovuto.

Del brano, del video e del suo percorso musicale abbiamo parlato direttamente con Nicola.

A memoria, Nicola, qual è la canzone che hai ascoltato di più in tutta la tua vita? E il disco che hai consumato?

La mia memoria è un po’ inquinata dall’aver ricorso in tempi recenti a Spotify per sapere che brani ho ascoltato maggiormente, ma sono abbastanza sicuro che la canzone (che fino a poco fa non era su Spotify in Italia) sia “Moi…Lolita” di Alizée. Sono state generate delle atmosfere incredibili in quel brano, che a pensarci non saprei nemmeno come ricreare. Quanto al CD, è una bella sfida, perché ce ne sono molti ora come ora: dall’omonimo di Maria Antonietta, che è stato un fedele compagno durante gli ultimi anni adolescenziali, a “Melodrama” di Lorde, che mi ha guidato nell’ultimo periodo. Sono due album agli antipodi, ma come disse una volta Britney Spears: “tutto fa brodo”.

Ci parli di “La danza dei passi falsi”? Del brano, del video, da cosa è venuta fuori l’ispirazione per scrivere il pezzo?

“La danza dei passi falsi” è un brano che ho scritto nel 2016, a fronte di una relazione a distanza che non stava prendendo la svolta che avrebbe meritato. È un brano che a suo modo vuole raccontare ogni situazione di stallo, in cui le cose non vanno come si era preventivato. Ho scritto il brano da solo, ma gli arrangiamenti sono dovuti a PLASTICA, una mia cara amica e promettente produttrice di musica elettronica, che ha co-prodotto il brano con Roberto Macis. Il video è stato ideato da me, con il supporto di Zeno Lee, che normalmente si occupa di musica J-Pop (penso sia uno dei pochi in Italia!), ma che mi ha dato una mano con le riprese. Il video è chiaramente ispirato al canale di YouTube Chilledcow, che propone contenuti in loop, dove della musica lo-fi va avanti ininterrottamente insieme a video che rappresentano scene di quotidianità. Nel video ci sono dunque io, a scrivere ininterrottamente sul quaderno su cui scrivo canzoni. Nel mentre, ascolto con le cuffie ciò che proviene dal mio pc, dove a tutto schermo passa la scena di “Call Me By Your Name”, il film di Luca Guadagnino, in cui i protagonisti, Elio e Oliver, si salutano alla stazione. Quella stazione nel film è quella di Clusone, ma la scena è girata a dieci minuti a piedi da casa mia, a Pizzighettone (CR), e per quanto per via della post-produzione sia poco riconoscibile, la cosa mi inorgoglisce molto. Nel film non si parla di Pizzighettone perché non sarebbe stato coerente con la trama. Tuttavia, la canzone racconta di treni, di stazioni, e così quella scena. Montando il video mi sono accorto di quanto poi la scena si intersecasse perfettamente con la canzone.

Quando eri un teenager hai trascorso un periodo complesso: cosa diresti a un*adolescente che sta scoprendo se stess*?

Crescendo mi sono reso conto di come tante cose siano un divenire costante e così è per la scoperta di sé. Molte cose io le ho vissute con estrema naturalezza, mettendo immediatamente da parte alcuni preconcetti legati agli ambienti che frequentavo. Non ci ho pensato un attimo, appena mi interessai a un ragazzo ne parlai abbastanza apertamente. Sicuramente questo ha fatto sì che per qualcuno io non fossi altro che “il gay” e non potessi essere altro. Sono sicuro che ciò abbia precluso molte amicizie e occasioni, ma sono anche sicuro sia stato meglio così. Tuttavia, parliamo di dieci anni fa, e le persone che si scoprono ora trovano indubbiamente un ambiente più florido e inclusivo di quello che posso aver conosciuto io nel 2010, nonostante ci sia ancora molta strada da fare.

Un consiglio che posso dare è quello di fare tutto il possibile per circondarsi di persone che siano pronte ad accettare questo lato della propria vita. Arriverà il giorno in cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere saranno questioni scontate, non rilevanti, ma purtroppo quel giorno non è ancora giunto e per questo bisogna continuare a informare e sensibilizzare. Non tutti gli ambienti si offrono come inclusivi. Quello del gruppo classe, di cui fa solitamente parte un*adolescente, è ad esempio decisamente un’incognita, motivo per cui serve informazione nelle scuole e servono professori in grado di comprendere le tematiche LGBT+, che per qualcuno possono essere ancora “la novità”, ma che dovrebbero fare parte, insieme a numerose altre questioni, della formazione di chi insegnerà nel futuro.

Non essere eterosessuale ti ha penalizzato nel tuo percorso artistico?

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Mi è capitato di sapere di commenti del tipo “Fa musica da gay”, che mi hanno lasciato perplesso. Cos’è la musica da gay? Avete mai sentito parlare di “musica da etero”? Siamo nel 2019. Sicuramente ci sarà chi sceglierà di non ascoltarmi per via del mio orientamento, ma penso di guadagnarci io. Ci sono tantissime persone che sono lontane dalle realtà LGBT+, che mi scrivono per dirmi che si sono emozionate ascoltando i miei brani, che ci si rivedono. A quel punto penso che poco importa a chi si rivolgessero le canzoni quando sono nate, se le persone, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, si emozionano o si rivedono nei miei racconti, significa che ho fatto bene il mio lavoro.

Chi sono nel panorama musicale italiano i punti di riferimento e di ispirazione queer?

La lista è davvero ampia, dunque citerò quell* che hanno avuto più impatto su di me: Paola Iezzi, Romina Falconi, M¥SS KETA, Sem&Sténn, SPLENDORE, Raffaella Carrà. Paola Iezzi ha un’energia innata e una voglia di reinventarsi che mi hanno conquistato sin dalla tenera età. La vicinanza al pubblico LGBT+ è stata onnipresente sin dal progetto Paola & Chiara. La stessa cosa vale per il divenire artistico di Romina Falconi. I suoi testi hanno quel qualcosa che ti fa davvero dire: “Eccoci, in questa situazione ci siamo tutt*”. M¥SS KETA è qualcosa di incredibile. La seguo da quando i miei amici dicevano che era volgare. Ora cantano tutti allegramente “Dice che sono Pazzeska, sarà il fascino della tedesca”. Sono fiero di esserci da prima di “Courmayeur”. La sua musica è irriverenza, libertà; dalle sue interviste si possono trarre interessanti spunti di riflessione. Se non la conoscete sotto questa luce, vi consiglio di andare a cercare su YouTube quella rilasciata a Sofia Viscardi. Sem&Sténn sono per me motivo di grande orgoglio: è bello vedere che due persone che vivono il proprio amore alla luce del sole vengano apprezzate a livello mainstream, e ho adorato la loro svolta in italiano con gli ultimi singoli. SPLENDORE è la nuova identità artistica di Mattia Barro, che prima era parte de L’Orso, un progetto che mi ha cullato (e curato) durante la mia adolescenza. Durante i live propongo un loro brano, “Con i chilometri contro”. Le parole chiave di questo suo nuovo progetto sono queerness e musica elettronica. È stato una bella sorpresa. Infine, potrei citare molti altri nomi, ma Raffaella Carrà illumina i nostri cuori arcobaleno da sempre: come può non avere una menzione d’onore?

Essere un* LGBT+ ally: cosa in concreto, oltre parlare, può fare davvero una persona per dare supporto in tema di diritti civili?

Trovo importantissima la questione “LGBT+ ally”. Penso un* ally debba di base avere un’ampia formazione sulle varie tematiche, debba essere in grado di contribuire alla creazione di un ambiente inclusivo, a partire dal linguaggio online e offline. Per fare un esempio, mi rendo conto che la lingua italiana non sia la più inclusiva per quanto riguarda, ad esempio, le persone transgender che vorrebbero utilizzare un pronome diverso da quelli binari (in inglese basterebbe un “they”), ma una giusta conoscenza del modo di porsi, di cosa dire e cosa no, può aiutare. Il vero fine di tutto l’attivismo attuale deve essere quello di portare tutte le realtà al pari, ed è una cosa che tante volte le persone “alleate” capiscono meglio di alcune fette della comunità LGBT+. Mai mancheranno le curiosità e le occasioni di dialogo, ma bisogna fare sì che questo sia il vero e proprio obiettivo e non perderlo di vista. Nel contempo, la comunità LGBT+ deve lavorare per rendersi più inclusiva verso tutte le realtà.

Quali sono i tuoi progetti per quest’ultima manciata di mesi dell’anno e per il prossimo?

Al momento sto sistemando le scalette dei concerti: aggiungerò qualche brano. Mi aspetteranno alcuni live tra il milanese e Roma (non ci sono mai stato: mi sentirò come Hilary Duff in “Lizzie Mcguire: da liceale a popstar”) e anche un concerto a Copenaghen, altra città che non ho mai visto. Inoltre sto iniziando a pensare al prossimo lavoro discografico, raccogliendo le idee e qualche brano già scritto. Forse è un po’ presto, ma nel mio scrivere ora è tutto un divenire che necessita più che mai di venire alla luce. Non nascondo che gli ultimi mesi sono stati faticosi per la scrittura per tante ragioni, ma qualcosa si sta muovendo e ne sono felice.

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