Articolo di Benedetta Geddo
Gli Oscar che si sono tenuti la notte di domenica sono stati i novantesimi nella storia dei premi. La cerimonia ha segnato una bella cifra tonda, ma non solo— ha segnato anche la chiusura di un cerchio, un cerchio iniziato con i Golden Globes a inizio anno. Un processo durante il quale Hollywood si è fatta un bell’esame di coscienza e ha cercato di trovare un modo per emergere cambiata dagli scandali che l’hanno investita (Weinstein, Spacey e tutti gli altri). Rispetto alla serata di gennaio, di cui abbiamo parlato qui, l’atmosfera che si respirava al Dolby Theatre era più composta, più calma, e secondo alcuni forse un po’ troppo preconfezionata.
Quello che certo non è mancato sono stati i momenti politicamente impegnati, e qui mi prendo un momento per una riflessione. Ho letto in giro un numero considerevole di persone che si sono lamentate di quanto ormai “agli Oscar non si parla più di cinema, vorrei che ritornassero quelle belle cerimonie dell’epoca d’oro in cui al centro della serata c’erano i film”. Se da un lato capisco le loro motivazioni, dall’altro rimango ancorata sulla mia posizione storica, ossia che un prodotto di narrazione non vive mai in una bolla. Che si stia parlando di un film satirico come Get Out o di una favola horror come The Shape of Water, tutti i prodotti d’intrattenimento su questa verde terra vivono e dialogano con la società che li ha creati, che li accoglie, che li consuma. Ed è per questo che è così importante che si sia parlato di temi sociali e culturali e politici durante questa awards season. Perché questi temi qui sono quelli che daranno forma alle narrazioni di domani. Le conversazioni che si stanno avendo adesso influenzeranno il futuro dell’industria— ignorare tutto per rifugiarsi in una torre d’avorio fatta solo di settima arte e silver screens sarebbe un po’ troppo da ingenui.
E questo è anche il motivo per cui spero davvero tanto che i dialoghi non si fermino qui, che i riflettori non si spengano una volta che i tappeti rossi sono stati arrotolati e ritirati e i vestiti eleganti rispediti alle case di moda. Forse possono spostarsi a un lato del palco, invece di prendere il posto centrale, ma devono continuare— nonostante questa cerimonia sapesse un po’ di fine. Hollywood, non cadere proprio adesso, non tornare a nasconderti, non quando sei così vicina a ribaltarti completamente e in meglio.
Detto questo, come abbiamo già fatto per i Globes, vi proponiamo qui sotto gli highlights e i momenti significativi della serata più importante del mondo del cinema, sperando di vederne ancora tanti altri.
Il monologo di apertura
Forse Seth Meyers era stato più graffiante, ma anche Jimmy Kimmel (di ritorno al Dolby dopo il disastro delle buste scambiate dell’anno scorso) non si è fatto mancare frecciatine e battute durante il monologo iniziale. Ma in una nota positiva, invece che distruttiva, proprio per quel senso di chiusura di un cerchio di cui si parlava prima. Tra tutte le punchline che ha detto, però, la mia preferita resta quella su Black Panther e Wonder Woman e i superhero movies.
“Il nostro obiettivo questa notte è far brillare una schiera di film straordinari, che sono stati tutti asfaltati da Black Panther questo fine settimana. E va bene così. Il successo di Black Panther è una delle tante storie belle di quest’anno. […] Black Panther e Wonder Woman sono state delle hit incredibili, e la cosa ha del miracoloso perché mi ricordo un tempo quando le major non credevano che una donna o una minoranza potessero guidare un cinecomic. E il motivo per cui me lo ricordo è perché quel tempo era marzo dello scorso anno.”
Alcuni hanno giudicato la conduzione di Kimmel un po’ sciatta, non troppo fuori dalle righe— un po’ come se stesse semplicemente portando a termine una serie di ordinati compiti a casa. Forse Tiffany Haddish e Maya Rudolph, che hanno fatto coppia a presentare le categorie dei miglior corti e sono già richieste a gran voce come host dell’anno prossimo saranno più scoppiettanti. Ma un applauso Jimmy Kimmel se lo merita tutto.
L’anno dei latinos
Questi novantesimi Oscar hanno segnato in maniera indelebile la vittoria del cinema fatto dai latinos. Coco, l’ultimo film Disney Pixar, ha portato a casa la statuetta come Miglior Film d’Animazione e Miglior Canzone Originale (da notare, tra l’altro, che entrambe le categorie sono state presentate da attori di origine latinoamericana, ossia Oscar Isaac e Lin-Manuel Miranda). Da qualche anno si dice che la Disney riesca a vincere sempre l’Oscar a prescindere, ma quest’anno l’ha meritato davvero tutto con la storia di Miguel e della famiglia Rivera.
Senza contare che durante i discorsi di ringraziamento la produttrice, Darla K. Anderson, e il co-regista Adrian Molina hanno entrambi ringraziato i loro compagni. “Questo premio è dedicato soprattutto a mia moglie, la mia roccia, Kori Rae,” ha detto la Anderson. “Tanto amore e tante grazie a mio marito, Ryan,” ha fatto eco Molina. Ed è così che si ispira una nuova generazione di bambini LGBTQ+, signore e signori. It really is that simple.
E i latinos che hanno vinto la statuetta non sono finiti qui. Guillermo del Toro è stato incoronato Miglior Regista, mentre il suo lavoro, La forma dell’acqua, Miglior Film. Durante il discorso di ringraziamento per l’Oscar alla regia, Guillermo ha regalato al mondo questa perla, detta con il suo inglese dall’accento messicano.
“Io sono un immigrato, come tante altre persone in questa stanza. La cosa migliore che la nostra arte, che la nostra industria fa è aiutare a cancellare le linee nella sabbia, quando il mondo cerca di renderle più profonde.”
Ma c’è di più. Daniela Vega ha introdotto la performance di “Mystery of Love” di Sufjan Stevens, diventando la prima donna transgender a presentare agli Academy Awards. E il film cileno di cui è protagonista, Una mujer fantástica, ha vinto la statuetta come Miglior Film Straniero. E quindi, come ha detto Oscar Isaac, ¡viva Latinoamérica!
Lupita Nyong’o e il sognatori
Lupita Nyong’o e Kumail Nanjiani hanno presentato insieme la categoria di Best Production Design. Fin qui, tutto molto normale. Ma come Guillermo del Toro, anche loro non hanno perso l’occasione per ricordare che sono immigrati— Lupita dal Kenya, e Kumail dal Pakistan.
“Come tutte le persone in questa sala e tutte quelle che ci stanno guardando da casa, siamo sognatori. Siamo cresciuti sognando di poter lavorare nei film, un giorno. I sogni sono le fondamenta di Hollywood. Sono le fondamenta dell’America. E quindi, a tutti i dreamers là fuori, noi siamo con voi.”
E chi vuole intendere, intenda.
Le sceneggiature
Salma Hayek, Ashley Judd e Annabella Sciorra, tutte e tre donne che hanno denunciato le molestie sessuali di Harvey Weinstein, hanno presentato un montaggio sulla diversità e l’inclusione. Un video di quasi cinque minuti, che spera di ispirare i prossimi novant’anni di cinematografia.
E dopo il montaggio, sono stati presentati i due premi alle sceneggiature, quella originale e quella adattata. Premi che sono andati rispettivamente a Jordan Peele per Get Out (e di nuovo, è stato il primo uomo nero a vincere in questa categoria. Ma arriverà il giorno in cui non ci sarà più bisogno di scrivere questa frase) e a James Ivory per Call Me By Your Name. Una satira politica e una storia d’amore omosessuale. Talk about diversity.
La lingua dei segni
Anche la ASL, l’American Sign Language, ha fatto la sua comparsa sul palco del Dolby Theater, cosa che non succede tanto spesso. Rachel Shenton, sceneggiatrice e co-protagonista del Miglior Cortometraggio, The Silent Child, ha fatto il suo discorso con le parole e con i segni. Perché l’inclusione ha tante facce diverse, e questa è una di quelle.
Il cambio di presentatori
La tradizione degli Academy Awards vuole che i quattro Oscar alla recitazione vengano presentati dal vincitore o vincitrice nella categoria opposta dell’anno precedente. Quindi, per esempio, la Miglior Attrice presenta il Miglior Attore, e viceversa. Quest’anno no, però. Perché il Miglior Attore Protagonista dell’anno scorso è Casey Affleck, accusato di molestie sessuali. E quindi l’Academy ha chiamato Jennifer Lawrence e Jodie Foster a presentare il premio all’immensa Frances McDormand.
Il discorso di Frances McDormand
Il vero momento topico della serata è stato il discorso di ringraziamento di Frances McDormand, che ha vinto la sua seconda statuetta di Miglior Attrice per Tre manifesti fuori a Ebbing, Missouri. La McDormand non solo si è presentata sul palco senza trucco, non solo ha ringraziato due suoi colleghi riferendosi alle loro madri femministe, non solo ha nominato “inclusion rider” come incentivo ad aumentare la diversità nelle produzioni hollywoodiane.
Ha poi posato il suo Oscar a terra e ha invitato tutte le nominate donne ad alzarsi in piedi. E poi ha chiesto a tutti i presenti a guardarle, e realizzare che ognuna di loro ha delle storie da raccontare. “Non parlatecene alle feste, stanotte. Invitateci nei vostri uffici tra un paio di giorni, o venite nei nostri. E ne discuteremo.”
Un discorso di una potenza straordinaria, che ha davvero rubato il respiro di tutto il Dolby Theater.
Alcune controversie
I momenti che hanno fatto storcere il naso però non sono mancati. Kobe Bryant e Gary Oldman hanno entrambi portato a casa una statuetta (Bryant per il corto d’animazione Dear Basketball che ha scritto, Oldman per la sua interpretazione da protagonista in L’ora più buia). Entrambi però hanno sulle spalle delle accuse di molestie (anche se, le accuse nei confronti di Gary Oldman sono state smentite dai legali e dallo stesso figlio). Rimane la domanda, fino a dove si parla di Time’s Up?
Poi c’è Emma Stone, che ha presentato la categoria di Miglior Regista. E l’ha presentata dicendo, “questi quattro uomini e Greta Gerwig“. Immagino che le sue intenzioni fossero buone, ma la frase gronda white feminism un po’ da ovunque – perché si dimentica completamente del fatto che Guillermo del Toro è messicano, e Jordan Peele è un uomo nero, buttando l’intersezionalità nella spazzatura. Magari la prossima volta si può pensare a un modo più decente di mettere giù la frase.
E quindi, questi sono stati i novantesimi Oscar. La strada da fare è di sicuro ancora tanta, e la corsa non è finita. Ma l’industria ha davvero fatto dei passi da gigante, e possiamo permetterci di esserne contenti. Con questo passo e chiudo, ci vediamo alla prossima awards season.